La vicenda della professoressa accoltellata da un suo studente di 17 anni, lunedì 5 febbraio in un istituto professionale Enaip a Varese, è l’ennesimo di una serie di episodi di cronaca che hanno interessato la scuola. Giusto per rimanere sul territorio della diocesi ambrosiana, al liceo scientifico Alessandrini di Abbiategrasso, lo scorso maggio un fatto analogo, con uno studente sedicenne finito al carcere minorile Beccaria per aver ferito a coltellate la sua insegnante. Ed è dei giorni scorsi la notizia di due mamme che si sono azzuffate per futili motivi nel cortile di una scuola di Milano.
La sensazione diffusa è che ci sia un crescendo di violenza nelle scuole, ma generalizzare è pericoloso, secondo don Fabio Landi, responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale scolastica e docente di religione al liceo Parini di Milano: «Si tratta di episodi indubbiamente gravi – commenta -, ma attenzione a fare del facile allarmismo, a leggere questi fatti come se fossero uno specchio assoluto della condizione dei giovani e dei rapporti nella scuola. Dobbiamo sempre ricordare che la realtà è complessa, che ogni episodio va collocato nel suo contesto, che ogni caso, in fin dei conti, è un caso a sé». E in effetti la scuola di Varese ha informato che il ragazzo ha quella che una volta era definita “diagnosi funzionale” ed è seguito da personale competente. Questo però non significa negare che questi fatti siano la spia di un disagio giovanile: «Al netto delle specificità di ogni caso, questi episodi ci parlano di una grossa difficoltà dei giovani a esprimere con le parole le fatiche e le frustrazioni che vivono a scuola. Allora la violenza può diventare il canale per dare sfogo immediato a quello che le parole non riescono a dire».
Il ruolo degli adulti
Questo interroga profondamente gli adulti nel loro ruolo di educatori: «Dobbiamo chiederci – afferma don Landi – che possibilità abbiamo noi adulti di capire veramente come i ragazzi vivono le sconfitte e quali possono essere le loro reazioni. Fermo restando che azioni imponderabili e aggressive non sempre sono prevedibili, si intuisce però una difficoltà di dialogo tra le generazioni».
Un altro elemento di preoccupazione che emerge dietro gli episodi di violenza nelle scuole è la perdita di fiducia dell’istituzione scolastica: «La scuola ha perso molto del prestigio sociale che aveva un tempo – fa notare don Landi -, la figura dell’insegnante è divenuta una figura fragile, debole, esposta. Il venire meno di una forte alleanza tra scuola e famiglia, alla fine, ha indebolito sia l’una, sia l’altra, e tutti si trovano più soli ad affrontare i casi difficili. Non che ci sia la bacchetta magica per evitare le violenze, ma dove c’è dialogo e dove i ragazzi riconoscono l’autorevolezza delle figure educative intorno a loro, esiti di questo tipo sono meno probabili».
L’obiettivo della riflessione sugli episodi di violenza, in sintesi, non deve essere alimentare la paura, ma promuovere il dialogo: «Nella scuola c’è bisogno di ritornare alla pazienza del parlarsi, perché no, anche attraverso l’aiuto di figure di mediazione, così poco presenti nella scuola italiana. Bisogna evitare che insegnanti e famiglie si chiudano costantemente in un atteggiamento difensivo o, peggio, di attacco. Il risultato di queste barricate perenni è che gli studenti si trovano da soli, in balia delle proprie reazioni», conclude don Landi.
Il richiamo al dialogo, e al senso di comunità, si ritrova anche nelle parole che Martino Troncatti, presidente della Fondazione Enaip Lombardia, ha inviato alla comunità scolastica in seguito all’accaduto: «Questa aggressione è un duro colpo per tutti noi. Ci sentiamo certo turbati, preoccupati e confusi, ma è importante ricordare il nostro impegno educativo e, specie in questi momenti, sapere che siamo una comunità unita, chiamata a sostenersi reciprocamente. Il nostro compito, oltre a quello di collaborare per promuovere tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza di tutti i membri della comunità scolastica, rimane quello di portare avanti l’impegno, a volte gravoso e difficile, di farci prossimi nei confronti di tante ragazze e ragazzi che spesso vivono condizioni di estrema fragilità e fatica».