Il 24 agosto è stato il primo anniversario del terremoto che ha devastato il Centro Italia. Nella stessa settimana, il 21 agosto, per una scossa a Ischia ci sono stati numerosi crolli, con due morti, 42 feriti e un numero di sfollati che aumenta progressivamente, man mano che procedono le verifiche di agibilità degli edifici da parte della Protezione civile. Alla data di domenica 27 agosto erano 1.177 le persone assistite dal Servizio nazionale della Protezione civile. L’epicentro, in un primo momento individuato a mare, è stato poi localizzato a Casamicciola Terme, a una profondità di circa 2 chilometri. L’anniversario del sisma in Centro Italia e il nuovo terremoto a Ischia ancora una volta hanno acceso i riflettori sulla fragilità del nostro territorio. Di questo abbiamo parlato con Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
L’Italia è ad alto rischio sismico, eppure il nostro Paese non sembra pronto ad affrontare il problema. Perché?
«Non è un problema solo dell’Italia. Dire che gli altri Paesi siano più sicuri del nostro non è vero. Spesso si pensa che in Giappone queste cose non succedono, eppure il terremoto di Kobe, nel 1995, che ha avuto una magnitudo di pochissimo superiore alla scossa del 30 ottobre 2016 in Centro Italia, ha fatto 6.500 morti e ha distrutto una città. Haiti ha avuto 200mila morti con un terremoto di magnitudo relativamente bassa, ma in quel caso c’è stato un problema di vulnerabilità degli edifici e dei sedimenti su cui questi edifici erano costruiti per cui ci sono stati effetti di amplificazione. La deformazione del suolo viene amplificata da questi sedimenti in cui le onde sismiche rallentano e quindi hanno un’ampiezza maggiore, creando un’oscillazione più dannosa».
È quello che è successo a Ischia? Molti si sono sorpresi che un terremoto di magnitudo 4.0 abbia prodotto crolli e due morti…
«A Ischia non è stata forte la magnitudo, ma è stata forte l’accelerazione del suolo per effetti locali. Facciamo un esempio: una bomba che esplode a 100 metri o a un metro. La stessa bomba avrà effetti diversi a seconda della distanza: a un metro uccide un uomo, a 100 fa meno danni. Un terremoto di magnitudo 4.0 che avviene a un chilometro e mezzo di profondità, con sedimenti che amplificano il segnale, come è successo a Ischia, è molto più dannoso a livello di superficie. Se quello stesso rilascio di energia avviene a dieci chilometri di profondità, le rocce attorno lo assorbono e quindi il danno è quasi nullo in superficie. Nel caso di Ischia la temperatura della crosta è particolarmente alta, il che significa che la parte fragile, fredda, è molto sottile e ciò comporta che i terremoti, per definizione, avvengono molto superficialmente. Quindi, sono terremoti di bassa magnitudo, ma essendo molto vicini alla superficie riescono a produrre danni importanti, tanto è vero che Mercalli ha costruito la sua famosa scala proprio sul terremoto di Ischia del 1883, che causò oltre duemila morti. Nel 1884, egli scrisse un libro dove c’è questa citazione: “Com’è possibile che si costruiscano le case in questo modo? Bisognerebbe far sì che resistano ai terremoti”. Parole che indicano che non è cambiato nulla da allora».
Quanto l’abusivismo edilizio incide sui danni che i terremoti producono?
«Noi come Ingv ci occupiamo della terra e non delle case che ci sono costruite sopra. Il problema dell’abusivismo esiste, però se pensiamo al terremoto del 1976 in Friuli ci furono dei paesi rasi al suolo e lì non c’era abusivismo. È l’edificato nazionale che è debole rispetto alla sismicità che si può registrare in Italia. La gente in passato non ha costruito in maniera antisismica sia perché non sapeva che la propria casa fosse in zona sismica sia perché costruire in modo antisismico costa di più. C’è un altro elemento: i terremoti importanti in Italia avvengono nella stessa zona ogni 200 o 300 anni, quindi non viene tramandata la memoria tra le generazioni dell’importanza di costruire in maniera antisismica. C’è poi un atteggiamento del nostro cervello, a livello individuale e collettivo, di voler dimenticare le tragedie come il terremoto. Si vorrebbe che tutto fosse ricostruito subito. Nel Friuli, che è stato un esempio ottimo di ricostruzione, hanno impiegato 15/20 anni prima di riuscire a recuperare il tessuto sociale. Se si va a L’Aquila, dove il terremoto c’è stato nel 2009, non si vede ancora una fine della ricostruzione. Noi dobbiamo ricordare e avere paura dei terremoti per assumere un atteggiamento di difesa, che è la base per la prevenzione».
È saggio ricostruire nelle zone sismiche dove ci sono state scosse con gravi danni?
«La questione si risolve costruendo in maniera antisismica in funzione della magnitudo che in quella zona si può sviluppare. Altrimenti, dovremmo spopolare mezza Italia, portando via tutta la gente che vive sugli Appennini e in varie zone delle Alpi. Il compito dell’Ingv è proprio dire ai cittadini e ai Comuni quale può essere la magnitudo massima in una determinata zona in modo da costruire case capaci di resistere a quel tipo di terremoto».
Ci possiamo aspettare nuove scosse forti?
«Tra il 1905 e il 1920 in Calabria, Sicilia, Emilia Romagna, Toscana e Abruzzo ci sono state 15 scosse di magnitudo superiore a 5.5, che è la soglia oltre la quale ci sono sicuramente dei danni agli edifici. A volte ci sono periodi in cui i terremoti arrivano a grappolo e martellano in modo forte. In generale, possiamo aspettarci nuovi terremoti: dove sono stati in passato torneranno anche in futuro, ma potrebbero essere anche in altri luoghi».
Ha suscitato polemiche il fatto che inizialmente a Ischia la scossa fosse stata considerata di magnitudo più bassa e localizzata in mare…
«L’Ingv fornisce entro pochi minuti dall’evento sismico la stima della magnitudo di un qualsiasi terremoto sul territorio nazionale maggiore o uguale a 2.5 (1.5 per Ischia e i Campi Flegrei). La sera del 21 agosto scorso la sala sismica di Roma ha rilevato un evento a Ischia di Ml (magnitudo locale) 3.6. La sala operativa dell’Ingv a Napoli ha contemporaneamente elaborato le registrazioni sismiche dell’evento e calcolato con una tecnica diversa (magnitudo durata) stimando il terremoto a Md 4. Anche per la localizzazione dell’evento ci sono dei protocolli chiari che prevedono una valutazione in automatico e delle successive verifiche e raffinamenti progressivi».