Dal numero di giugno de Il Segno
Il fiume Po sta morendo e non da oggi. Muore nell’indifferenza generale, soprattutto quella – gravissima – delle istituzioni. Della secca eccezionale che lo ha colpito ultimamente si è parlato pochissimo e solo a margine di notizie acchiappa-click, come il ritrovamento di un carro armato nazista.
È la denuncia di Paolo Pileri, professore di Urbanistica al Politecnico di Milano e membro del segretariato scientifico del Programma Unesco Mab (Man and the biosphere). Colpito da quello che non esita a definire un disastro ambientale, Pileri ha promosso presso il Dastu (Dipartimento di Architettura e studi urbani) del Politecnico la realizzazione di un video per documentare la secca del Po, che ha girato con un drone camminando con le sue gambe nel letto del fiume, ridotto a una pozzanghera di pochi centimetri. «La siccità dell’inverno e della primavera scorsi – spiega Pileri – è solo la goccia, che ha fatto traboccare il vaso dei problemi, per usare una metafora a tema. In Italia non abbiamo una vera politica fluviale, tutta l’attenzione dei piani di sviluppo è concentrata sulle grandi città. Nessuno tra i Comuni attraversati dal grande fiume è intervenuto, nemmeno per documentare fotograficamente l’andamento della secca».
Siccità eccezionale
La siccità di quest’anno è stata davvero eccezionale, è doveroso parlarne anche in vista della Giornata della desertificazione e siccità del 17 giugno. Lo conferma Andrea Salvetti, vice capo dell’Ufficio corsi d’acqua del Cantone Ticino, uno dei più importanti bacini di alimentazione del Po. «L’inverno 2021-22 entrerà negli annali come uno dei più asciutti e caldi degli ultimi trent’anni – spiega-. La mancanza di precipitazioni ha colpito tutto l’arco alpino, in particolare il versante sud-occidentale, coinvolgendo Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e in seguito anche Emilia-Romagna e Veneto». Niente pioggia, niente neve: «Oltre alle precipitazioni scarse o assenti (il 15-25% del quantitativo solitamente atteso), anche le precipitazioni nevose a media e alta quota sono state deficitarie. Al di sopra dei 2000 metri, l’innevamento medio sul versante sudalpino è stato pari solo alla metà dei valori consueti».
Inevitabili le conseguenze sul Po, nota Salvetti: «La siccità meteorologica ha determinato anche quella idrologica, con deflussi sempre più scarsi in tutti i corsi d’acqua dell’arco alpino, affluenti primari o secondari del Po. Osservando i comunicati pubblicati dall’Autorità distrettuale di bacino del fiume Po, gli indici di criticità si sono aggravati tra febbraio e metà aprile e le precipitazioni cadute nelle settimane successive non sono state minimamente sufficienti a colmare il deficit accumulato».
Serbatoi idroelettrici in alta quota praticamente vuoti, scarsità di neve, livelli dei laghi prealpini, come il lago Maggiore, straordinariamente bassi: tutto questo ha fatto suonare il campanello d’allarme, ma più che altro per i danni all’agricoltura, fa notare Salvetti. «È stato soprattutto il settore agricolo che nelle scorse settimane ha levato la propria voce, sottolineando le perdite che si prospettano per i raccolti».
«Dei fiumi parliamo solo quando esondano o quando causano problemi all’agricoltura – conferma Pileri -. È quella che il filosofo e alpinista norvegese Arne Næss definiva “ecologia superficiale”: ci si interessa degli ecosistemi solo quando un loro squilibrio danneggia l’uomo. Una prospettiva antropocentrica che è l’esatto l’opposto del modello di ecologia integrale proposto dalla Laudato si’».
Non solo acqua: ecosistema in pericolo
La grande secca del Po causerà ben altri danni, spiega Salvetti: «Fiumi in secca e laghi ai livelli minimi storici hanno importanti conseguenze ambientali. Anzitutto il degrado della qualità delle acque, a causa dei rapporti di diluizione più ridotti per gli scarichi provenienti dagli impianti di depurazione. Una situazione che, soprattutto nei fiumi più piccoli, può provocare un aumento della concentrazione di batteri e sostanze nocive».
Ci sono poi le conseguenze per fauna e flora acquatica.
«Con i fiumi in secca – continua Salvetti – i pesci cercano rifugio nelle zone di acque più profonde, dove maggiore è la concentrazione di ossigeno. Ma queste zone sono sempre di meno nei corsi d’acqua, resi rettilinei negli scorsi decenni con opere di incanalamento che rispondevano al dogma, allora dominante, di mettere a disposizione maggior suolo possibile per lo sviluppo urbano. Le temperature sempre più elevate registrate delle acque a causa del cambiamento climatico, peggiorano la situazione, provocando uno stress fisiologico che può causare la moria di molte specie tipiche dei nostri habitat, lasciando spazio all’invasione di specie non autoctone, spesso causa di ulteriori disequilibri ecologici».
Natura e cultura
«Il fatto è – fa notare Pileri – che il fiume non è solo una striscia d’acqua, ma un corpo ecologico fatto di acqua, fondale e sponde. Se uno dei tre elementi viene meno, il sistema tracolla. E non è detto che quando riprende a piovere le funzioni del fiume siano automaticamente ripristinate. Camminando nell’alveo del Po ho visto argini rotti, impronte di motocross e di auto, segno che il letto del fiume in secca era stato usato per divertirsi, con una ignoranza totale sui danni che questo può recare a un ecosistema».
«In Italia – prosegue Pileri – non c’è attenzione culturale e nemmeno una narrazione sui fiumi. Invece un corso d’acqua può diventare un vero e proprio laboratorio ecologico. L’anno scorso con Politecnico, Autorità distrettuale del fiume Po e Mab Unesco abbiamo lanciato il progetto di traghettamento temporaneo “Trasponde” (www.cicloviavento.it/ricerca/trasponde) tra Caorso e Castelnuovo Bocca d’Adda. Abbiamo portato a pedalare di qua e di là dal fiume 450 studenti (ma avevamo richieste per il doppio). I ragazzi l’hanno apprezzato tantissimo, non immaginavano che potesse essere così bello esplorare le rive del Po. È sorprendente come anche ragazzi di Piacenza, nati sul Po, non conoscessero affatto il fiume. Non c’è più alcuna consapevolezza che la nostra civiltà è nata attorno ai fiumi e dei fiumi si è nutrita per secoli».
Sos fiumi
È lecito domandarsi se ci troveremo ancora di fronte a emergenze come quella di questo inverno. «È probabile – risponde Salvetti -. I Paesi mediterranei sono fra i più sensibili alle variazioni conseguenti il cambiamento climatico anche secondo l’ultimo rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change)».
Come rispondere, dunque, a queste nuove sfide? «Bisogna innanzitutto riconoscerne la complessità – suggerisce Salvetti – e non affidarsi a soluzioni rapide o già sperimentate, come la costruzione di nuove dighe, o l’ampliamento delle capacità di stoccaggio di quelle esistenti e dei laghi regolati. Purtroppo, invece, questo è, almeno in parte, l’approccio ancora proposto da alcune categorie e dal Pnrr. Tra i “portatori di interesse” non si può annoverare solo il settore agricolo, è necessario riconoscere questo status anche all’ambiente in quanto tale. La protezione e la riqualifica degli habitat fluviali, con interventi che consentano ai corsi d’acqua di ricostituire il loro stato morfologico naturale, contribuiscono a proteggere la biodiversità, aiutano a ristabilire l’equilibrio dell’ecosistema fiume e, soprattutto, predispongono il corso d’acqua a rispondere in modo più resiliente alle crisi. Tutto questo, del resto, è quanto prevede l’applicazione delle ultime direttive europee, come quella quadro sulle acque 2000/60/CE, alluvioni 2007/60/CE e, parallelamente, la direttiva habitat 92/43/CEE e la direttiva uccelli 2009/147/CE».