Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha insignito Giacomo Pigni, giovane socio dell’Azione cattolica ambrosiana, dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica, la più alta onorificenza della Repubblica, per il suo servizio alla comunità durante l’emergenza del coronavirus.
Giacomo, come hai ricevuto questa notizia?
In realtà l’ho scoperto dai giornali e dai messaggi inviati da amici. Ho controllato la notizia e la descrizione corrispondeva proprio a me e a quello che avevo fatto. Poi il giorno dopo ho ricevuto il telegramma ufficiale.
Cosa ti hanno scritto sul telegramma? E quando avverrà la cerimonia?
Quello che si è letto sui giornali. In particolare nel telegramma si fa riferimento all’articolo 2 dello statuto dei Cavalieri della Repubblica, in cui si specifica che questa nomina è stata motu proprio, cioè proprio per iniziativa del Presidente della Repubblica. Sarà lui stesso quindi a presenziare la cerimonia che conferirà le nomine. L’anno scorso è stata il 20 dicembre, quindi penso si dovrà aspettare fino a quella data.
Che cosa vuol dire essere Cavaliere al merito della Repubblica italiana?
È un titolo di riconoscimento, non conferisce nessun tipo di benefit. Ce l’avrò per tutta la vita. Posso perderlo in caso di condanne penali. So che ci sono diversi gradi di carriera, poi, all’interno del titolo stesso: ufficiale, commendatore…
Hai ricevuto questa onorificenza per aver coinvolto una trentina di giovani in un progetto di sostegno ad Auser Ticino-Olona, un’associazione del territorio che si occupa delle persone anziane e della loro valorizzazione nella società. Raccontaci com’è andata…
Prima della pandemia non conoscevo bene l’associazione Auser. Conoscevo però la presidente di Auser Ticino Olona. Lei mi ha contattato durante l’emergenza, condividendomi la sua delusione, perché non poteva più garantire i servizi consueti agli anziani del territorio. Auser infatti è un’associazione di volontari, persone anziane, che aiutano a loro volta ultra-ottantenni della zona. L’obiettivo quindi è di coinvolgere anziani, pensionati, ancora in salute, per sostenere chi è in casa o è malato. In quei mesi di pandemia i volontari erano proprio i soggetti più a rischio, che non potevano essere esposti a un pericolo così grande. Così, insieme ad altri amici, ho cominciato a creare una rete di volontari giovani per sostituire quelli rimasti bloccati a causa delle restrizioni. Siamo stati trenta giovani in tutto che garantivamo servizio di chiamate con frequenza settimanale e servizio spesa, anche con il supporto della Protezione civile.
Perché ti sei buttato a capofitto in questo progetto?
Mi è venuto spontaneo. Era un bisogno reale del territorio. In questo ho riconosciuto subito lo spirito appreso in Azione cattolica, dove ho scoperto quanto sia bello e naturale sentire il dovere di fare cose semplici per gli altri. È importante stare dentro una comunità con uno spirito di appartenenza. Quel bisogno, quella domanda interpellava proprio me.
Tuttavia, il senso di comunità non è per niente diffuso, soprattutto nei giovani…
È vero. Non lo si insegna più e non ci sono più realtà così diffuse che insegnano un valore molto semplice, cioè che per vivere bene devono stare bene anche gli altri. Credo che questo sia un valore, anche a prescindere dalla fede, che però rende tutto più bello e completo.
Cosa consiglieresti ai tuoi coetanei?
Di fare volontariato. È un’opportunità per conoscere le persone, il territorio in cui si vive e capire meglio anche se stesso. Nessuno si salva da solo, come dice papa Francesco. Il volontariato aiuta a entrare in questa mentalità.