Il momento decisivo è atteso per mercoledì 20 luglio, quando Mario Draghi si presenterà alle Camere e in quella sede si definirà la sorte dell’esecutivo. La grave crisi politica che ha investito il Governo è stata così riportata all’interno del Parlamento, “parlamentarizzata” come si dice nel gergo delle cronache istituzionali. La situazione che si è determinata è ovviamente il risultato di una fase non breve di tensioni crescenti nella maggioranza, tra i partiti che la compongono e tra alcuni di essi e il Presidente del Consiglio. Ma proviamo a ripercorrere gli ultimi, convulsi passaggi che nella giornata cruciale di giovedì 14 luglio hanno portato a questo esito (leggi qui).
Il voto al Senato
Nel primo pomeriggio, al Senato, si vota la questione di fiducia sulla legge di conversione del “decreto aiuti”, che contiene misure per fronteggiare soprattutto l’emergenza energetica e le sue conseguenze economiche. Con 172 sì e 39 no il governo ottiene il via libera, ma i senatori del M5S – come annunciato – non partecipano alla votazione per dissenso su alcuni punti, in particolare la costruzione del termovalorizzatore per Roma. Alla Camera, pochi giorni prima, il regolamento aveva consentito di distinguere il voto sulla fiducia – che i deputati cinquestelle avevano espresso in senso positivo – da quello negativo sul merito del provvedimento. A Palazzo Madama la votazione è unica e quindi il dissenso di merito diventa non partecipazione al voto di fiducia sul governo.
Draghi al Colle
A questo punto Draghi sale al Quirinale per incontrare il Capo dello Stato. Il Consiglio dei ministri inizialmente fissato per le 15,30 viene rinviato. Il colloquio con Sergio Mattarella dura un’ora e il premier lascia il Colle senza dichiarazioni. È del tutto verosimile che il Presidente della Repubblica abbia operato per cercare uno sbocco positivo alla situazione, ma prendono a circolare notizie secondo cui ci sarebbe stato uno scontro molto duro con Draghi. Al punto che in serata una nota dell’ufficio stampa del Quirinale dovrà chiarire che invece c’è stata «totale identità di vedute».
Il Premier: «Mi dimetto»
Il Consiglio dei ministri viene riconvocato per le 18.15. Nella riunione il premier annuncia ai membri del governo che sta per andare da Mattarella a rassegnare le dimissioni e spiega anche il senso della sua decisione. «Le votazioni di oggi in Parlamento – dice Draghi ai ministri – sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo Governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo. Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più».
Mattarella: «No, resti»
Subito dopo la riunione del Consiglio Draghi torna al Colle per rimettere il mandato. Il risultato del nuovo incontro è nel comunicato del Quirinale: «Il Presidente della Repubblica non ha accolto le dimissioni e ha invitato il Presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica».
In attesa della verifica parlamentare, comunque, il governo resta nella pienezza delle sue funzioni, tanto che Draghi lunedì e martedì parteciperà a un vertice intergovernativo in Algeria. Almeno fino a mercoledì c’è tempo per cercare una soluzione nell’interesse generale del Paese.