La problematica dei Neet in Italia assume proporzioni rilevanti e ha connotazioni preoccupanti sia dal punto di vista macroeconomico, sia dal punto di vista di economie territoriali.
Da troppo tempo in Italia si parla dei “Neet” senza una effettiva, concreta risposta. La percentuale di giovani che non studiano e non lavorano (Neet) misura efficacemente quanto un Paese “spreca” la propria risorsa giovani: il record in Europa di questo spreco è saldamente detenuto dall’Italia. Si tratta di una condizione inaccettabile, che penalizza non solo le nuove generazioni ma anche le prospettive di sviluppo del nostro Paese. Nella fascia 15-29 anni nel 2020 i Neet sono pari al 23,3% in Italia contro una media Eu-27 del 13,7%.
Il valore rimane elevato fin oltre i 30 anni e la distanza con l’Europa è aumentata nel tempo. Nella fascia 25-34 anni la percentuale di Neet era pari al 23,1% nel 2008 (17,4% il valore Eu-27), nel 2020 risulta salita al 30,7% (18,4% eu-27) con un divario quindi più che raddoppiato rispetto alla media degli altri paesi dell’Unione.
Come emerge dal rapporto «La perdita della speranza», curato dalla rete #UnoNonBasta per Laboratorio Futuro dell’Istituto Toniolo, non solo siamo rimasti sui valori peggiori in Europa, ma nessun processo di convergenza si è osservato dopo la Grande recessione del 2008-13. Ci siamo anzi allontanati dalla media europea e ora i giovani italiani rischiano di subire in modo più accentuato l’impatto della pandemia.
Così Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica: «La questione dei Neet non si risolve se non si chiarisce il ruolo delle nuove generazioni nei processi di crescita del Paese. I giovani non sono una categoria svantaggiata a cui trovare un qualche lavoro. Sono la principale leva per cogliere le opportunità della transizione verde e digitale e riposizionare l’Italia all’interno dei percorsi più promettenti e avanzati di questo secolo. Vanno, quindi, riconosciuti come la principale risorsa da mettere in campo per crescere, arricchendo con nuove sensibilità e nuove competenze una nuova fase di sviluppo dell’Italia nel post-pandemia. Una sfida cruciale, che non può essere vinta senza le nuove generazioni, tanto più con il debito pubblico e gli squilibri demografici che ci caratterizzano».
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