Un secolo fa scoppiava la Grande Guerra e l’Europa si accingeva a diventare un grande campo di battaglia. Oggi l’Europa unita ha come obiettivo il miglioramento del benessere di tutti i suoi stati membri. La nascita di un progetto di crescita comune e di prosperità condivisa va vista come una grande conquista, non solo da proteggere rispetto alle forze della disgregazione, ma da rafforzare ulteriormente.
Anche i grandi cambiamenti demografici e sociali incentivano ad andare in questa direzione. Mezzo secolo fa, tra le prime cinque città più popolate al mondo, ben tre si trovavano in Europa. Oggi, invece, nessuna metropoli del nostro continente si colloca tra le prime quindici del pianeta. L’Europa unita può però mantenere un peso di grande rilievo sulla scena mondiale, se consideriamo che con il suo oltre mezzo miliardo di abitanti si posiziona demograficamente sotto solo a Cina e India. Ma oltre all’aspetto quantitativo, conterà sempre più la dimensione qualitativa nei processi di crescita del XXI secolo, con particolare riferimento allo sviluppo delle capacità, alla valorizzazione del capitale umano, al sostegno all’innovazione e all’integrazione sociale. L’Ue appare con forza impegnata in questa direzione, pur con i limiti e le difficoltà di un progetto ancora politicamente incompiuto. Il successo dipende però da quanto gli Stati membri sapranno immettersi solidamente e convintamente lungo tale percorso. La Lombardia è tra le regioni demograficamente più rilevanti del continente, ma dovrebbe anche cercare di diventare uno dei migliori e più convinti alleati su cui l’Europa può contare per vincere le proprie sfide.
Le elezioni di maggio possono essere l’occasione per un dibattito serio e costruttivo su come vogliamo sia l’Europa del XXI secolo e su quale contributo possiamo dare per un percorso di crescita comune fondato su valori condivisi. È triste constatare come il confronto rischi invece di aggrovigliarsi sterilmente attorno alle tesi dell’euroscetticismo. Da un lato è evidente in gran parte degli elettori l’insoddisfazione nei confronti di un’idea di Unione che, per come è stata sinora interpretata e realizzata, è rimasta al di sotto delle aspettative. D’altro lato c’è la difficoltà posta dalla crisi che rimette in discussione le basi del processo di sviluppo, ma anche, nel contingente, crea forte malessere sulla popolazione che diventa vulnerabile rispetto a spinte centrifughe. Tutto questo in Italia è accentuato dalla caduta di fiducia verso la politica nazionale, considerata troppo legata alle logiche di potere e poco in grado di migliorare le effettive condizioni dei cittadini. La tentazione di molti partiti in deficit di consenso e credibilità è allora quella di cercare un capro espiatorio e chiedere l’uscita dall’euro.
Il rischio di un dibattito pubblico così impoverito e distorto è quello di ingenerare confusione e disperdere il capitale di valore che l’Europa comunque rappresenta per le nuove generazioni. I dati recenti dell’Istituto Toniolo mostrano come i giovani italiani abbiano una visione molto più positiva dell’Ue che dei partiti e delle istituzioni del nostro Paese. Uno dei limiti maggiori è il fatto che finora essa è apparsa più un insieme di parametri e vincoli burocratici, ma questo è visto come un incentivo a fare di più: solo il 22% si contrappone a un’unione politica che arrivi a formare gli Stati Uniti d’Europa e oltre li 60% riconosce le opportunità dell’Ue anche in termini di occasioni di studio e lavoro in altri paesi.
Le nuove generazioni italiane sembrano quindi avere introiettato l’idea di una multi-appartenenza, che assieme al luogo di nascita contempla anche un sentimento radicato di destino comune europeo. Sono consapevoli dei limiti che questo progetto ha sin qui avuto ma, più che rimettere in discussione quello che è stato fatto in passato, vogliono guardare avanti. Questi dati ci dicono quindi che i giovani possono essere i migliori alleati, se incoraggiati nel loro protagonismo positivo, delle forze positive dell’aggregazione e del rilancio.