Da più di un mese sono in corso ad Haiti violente proteste governative. Tutto è cominciato quando il primo ministro ad interim Ariel Henry ha annunciato che non avrebbe indetto nuove elezioni, motivando la scelta con la necessità di ripristinare la stabilità nel Paese.
In poco meno di un mese, le bande di criminali presenti ad Haiti hanno approfittato delle proteste per imporre una notevole escalation di violenza, prendendo d’assalto il palazzo presidenziale, i ministeri e il commissariato centrale.
La pressione nei confronti delle istituzioni è tale che questa mattina il primo ministro ad interim di Haiti, Ariel Henry, ha annunciato che si dimetterà dal suo incarico. La decisione è stata comunicata primo ministro tramite i suoi canali social.
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Un Paese alla deriva
Maddalena Boschetti, missionaria laica presente ad Haiti, testimonia la deriva del Paese. «Sembra l’esecuzione di un piano ben orchestrato. Non appena il primo ministro ad interim (non eletto e odiato dal popolo) è uscito dal Paese, le gang che da anni hanno preso il controllo della capitale si sono coalizzate e hanno attaccato le istituzioni statali. Gli scontri sono avvenuti in più parti della città contemporaneamente e con tecnologie impensabili, perché sono stati utilizzati droni per spiare, studiare e attaccare con più efficacia gli obiettivi sensibili».
Come ad esempio le prigioni. Lunedì 4 marzo sono state prese d’assalto le carceri di Port-au-Prince e Croix-des-Bouquets, da cui sono fuggiti più di 4 mila prigionieri, pronti a ingrossare le file delle bande. In questi istituti erano rinchiuse alcune delle persone accusate dell’assassinio del presidente Jovenel Moise, morto nel luglio del 2021.
La crescita di queste gang è da attribuire a diversi fattori. Alcuni di questi gruppi sono stati finanziati e armati nel corso degli anni anche dai governi per mantenere l’ordine e il controllo nelle zone più pericolose di Haiti. Gli interessi sull’isola sono giustificati anche dalla sua posizione geografica. Il Paese si trova esattamente a metà strada tra gli Stati Uniti e la Colombia, sulle rotte del traffico internazionale di armi e stupefacenti.
Oggi le bande sono composte da soldati poco meno che ventenni. «Si tratta di povere creature – spiega Boschetti – nate durante le violenze del 2004. Questi ragazzi sono cresciuti all’ombra della violenza. Le gang offrono loro i soldi e il potere con cui pensano di poter fuggire da quella vita. I comandanti hanno sfruttato il malcontento generale di un governo che non è amato né voluto per capovolgere la narrativa a proprio favore».
I leader di questi gruppi si presentano infatti al popolo come i liberatori di Haiti. Il loro mezzo di comunicazione preferito sono i social media. Su YouTube, Facebook e TikTok, ormai divenuti l’unica fonte di informazione nel Paese, inneggiano alla rivoluzione veicolando immagini di violenza. «I loro video sono di una crudezza e crudeltà senza alcun filtro. Per le donne uscire di casa è impossibile. Uno degli aspetti più disumani è che non si rispetta più nessuno, neanche donne e bambine. Si diffondono video di violenza sui loro corpi o sui cadaveri dei poliziotti.
@cnn Haiti’s Prime Minister Ariel Henry has landed in Puerto Rico, according to officials, after days of speculation about his whereabouts. It comes as the capital Port-au-Prince is gripped by violence, which started last week. Coordinated gang attacks on law enforcement and state institutions have been taking place across the city, in what one gang leader has described as an attempt to overthrow the government. #haiti #violence #gangs #portauprince #arielhenry #puertorico ♬ original sound – CNN
Per gli abitanti di Haiti questa sorta di rivoluzione non è nemmeno facile da accettare o da decifrare, perché il mandato di questo governo è scaduto parecchio tempo fa e non c’è una autorità legalmente in carica dall’assassinio del presidente Moise».
Le bande hanno preso il controllo degli aeroporti e non permettono al primo ministro di ritornare in patria. Anche la Repubblica Dominicana, lo Stato confinante dell’isola caraibica, ha dichiarato Henry persona non grata.
In questa anarchia anche i servizi hanno praticamente cessato le proprie attività. I medici sono scappati dopo essere diventati uno degli obiettivi delle bande e negli ospedali non è rimasto più nessuno. Tra i pochi rimasti attivi c’è il San Camillo, ma si trova nella zona Nord della capitale, una delle più pericolose di Port-au-Prince.
Qui le bande non permettono a nessuno di entrare o uscire, se non pagando una tangente. La chiusura delle frontiere comporterà una ulteriore crisi alimentare per il Paese. «Il porto della capitale è blindato e Haiti sopravvive soprattutto grazie alle importazioni. È una vita sotto assedio, nel terrore dei rapimenti e non dobbiamo dimenticare come qui un bambino su due sia malnutrito. Non abbiamo medicine, non c’è da mangiare. I ragazzi negli ultimi anni non sono riusciti a finire un anno scolastico normalmente».
L’isolamento di Haiti dal resto del mondo appare inesorabile. Domenica 10 marzo gli Stati Uniti hanno richiamato dall’isola il personale diplomatico non essenziale.
L’appello di Boschetti è per favorire la pace: «Dico a tutti, custodite la pace. Aiutate noi e tutti i Paesi che sono in guerra ad avere la pace. Lo dico a nome di coloro che sono intrappolati in questa situazione e a nome dei missionari che scelgono di rimanere con questa gente. Date valore ai gesti di pace. Questo non significa solo l’assenza di armi. Pace è la vita degna di un essere umano. Io mi aggrappo alle parole di papa Francesco, che danno a noi forza e consolazione in ogni momento».