Eletta leader dei Conservatori, Liz Truss, classe 1975, ministra degli Esteri in carica, diventa automaticamente premier del Regno Unito al posto di Boris Johnson. Scelta dagli iscritti del suo partito (si sono espressi in 172 mila; il rivale era Rishi Sunak, ex cancelliere dello Scacchiere), entra a Downing Street con un Paese ripiegato su se stesso e con parecchie urgenze interne da affrontare, a partire dall’economia e dalle conseguenze della Brexit. Sullo sfondo lo scenario è quello della guerra in Ucraina, che fa intendere tempi di incertezza… Johnson lascia una politica, e un partito, screditati agli occhi dei più: Truss dovrà tentare di risalire la china, schiacciata dalla personalità di Margaret Thatcher, che cerca evidentemente di imitare.
Ne parliamo con Joelle Grogan, esperta del gruppo di studi “Regno Unito in un’Europa che cambia”, e docente all’università King’s College di Londra: «Direi che l’incarico della neo premier è il più difficile di qualunque altro primo ministro del dopoguerra e uno dei più difficili della storia britannica. Si trova davanti a un partito diviso, a un Paese diviso, a un mondo diviso. Non sarà facile, per la nuova leader, sopravvivere alla difficile situazione economica interna e a quella politica internazionale, considerati anche il suo scarso carisma e le sue limitate capacità comunicative rispetto al predecessore».
Quanto è complicata la situazione economica che Liz Truss si trova a fronteggiare?
Difficilissima. Il governo non può più dire che la crisi è dovuta alla pandemia e non alla Brexit e gli effetti negativi dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue si fanno sentire, aggravati, certo, dal Covid e dalla guerra in Ucraina. Parliamo del 15% di inflazione per il prossimo inverno e del peggiorare del costo della vita. L’esistenza ordinaria della gente comune diventerà molto più dura.
L’ex premier Boris Johnson, che ha deciso di rimanere in parlamento e vuole ritornare alla guida del Paese, rappresenta un ostacolo per Liz Truss?
Non c’è dubbio. Prevedo che, tra un anno o due, la neo leader si ritroverà ad affrontare una nuova sfida interna al partito, oppure un’elezione generale, provocata dal leader dell’opposizione laburista Keir Starmer, che, in questo momento, sta battendo i conservatori nei sondaggi. In entrambi gli scenari i conservatori potrebbero decidere di riportare alla loro guida Boris Johnson pensando che li condurrebbe alla vittoria. Tuttavia il voto sarà molto diverso da quello del 2019, nel quale Johnson aveva conquistato una fortissima maggioranza. Si sentiranno la crisi economica e anche le tensioni all’interno del Regno Unito dovute al desiderio di indipendenza della Scozia e del Nord Irlanda. Rimarrei sorpresa se i conservatori riuscissero a vincere.
Che impatto avrà la scelta di Truss sui rapporti del Regno Unito con l’Unione europea?
Benché la neo-premier abbia votato perché la Gran Bretagna rimanesse dentro l’Unione europea al referendum del 23 giugno 2016, oggi la sua posizione è molto critica nei confronti dell’Europa. È possibile che verrà ammorbidita dal fatto che non dovrà più convincere i membri Tories, i fanatici della Brexit, ma mi sembra molto improbabile. Anche sul Nord Irlanda Liz Truss ha già dichiarato di voler continuare la politica del suo predecessore Boris Johnson e di voler sospendere parti del protocollo nordirlandese, l’accordo internazionale firmato dalla Gran Bretagna e dalla Ue, che mantiene il Nord Irlanda dentro il mercato europeo e mette un confine commerciale nel mare d’Irlanda.
Liz Truss si presenta come l’erede di Margaret Thatcher, che ha interpretato da piccola in una recita scolastica, e che imita negli abiti. Si assomigliano le due premier?
Direi proprio di no. La “lady di ferro” era molto coerente con i suoi principi, mentre Truss ha cambiato più volte posizione. Inoltre la Thatcher, durante l’inflazione, ha alzato le tasse, cercando di rallentare l’economia, mentre la Truss vuole abbassarle, senza che sia chiaro dove troverà i soldi per finanziare il sistema sanitario nazionale. Quello che le due donne hanno in comune è l’opposizione ai sindacati. La neo premier potrebbe decidere di lasciare la Convenzione europea dei diritti umani, che garantisce ai lavoratori del Regno Unito il diritto a scioperare che qui non esiste, oppure tentare di far approvare una legge che neghi ai lavoratori il diritto di scendere in piazza.