Ci si lancia da un aeroplano senza disporre di un paracadute? No, o almeno non si dovrebbe. La convocazione del referendum del 5 luglio da parte del governo di Alexis Tsipras per chiedere il parere ai cittadini greci sul piano per sanare i debiti contratti con i creditori internazionali ha dato l’impressione del paracadutista sguarnito. Che rischia di trascinare con sé un popolo tartassato da anni di crisi.
I fatti sono noti. Nel 2009 l’allora premier socialista George Papandreou rivela che i precedenti governi conservatori hanno falsato i conti dei bilanci pur di avere accesso all’eurozona. Segue un lungo periodo di instabilità politica interna; il governo passa nelle mani del centrodestra con Antonis Samaras, leader di Nuova democrazia, premier dal 2012 al gennaio di quest’anno. Quindi si torna al voto ed è un plebiscito per il partito di estrema sinistra Syriza e per il suo candidato Alexis Tsipras. Il quale fonda il successo sulla promessa di tener testa alle richieste dei creditori e dell’Unione europea. La quale nel frattempo, istituita la vituperata Troika, ha versato nelle casse di Atene 240 miliardi di aiuti finanziari. Ma alle pressanti richieste di profonde riforme economiche e sociali che rimettano in sesto i conti statali (il debito pubblico è al 177% del Pil), Tsipras risponde – ed è vero – che il suo popolo ha già sofferto troppo: «Basta sacrifici, basta ricatti». Le proposte di riforma confezionate da Atene per rassicurare i creditori – gli accordi con i quali scadono il 30 giugno – non paiono sufficienti. Così Tsipras tenta un’ultima, inaspettata mossa: «Chiediamo ai greci cosa ne pensano». Diranno loro, mediante referendum, sì o no alle richieste di Bruxelles. Poi, visto l’assalto ai bancomat, decide una mossa comprensibile eppure azzardata: banche e Borsa di Atene chiuse per una settimana. Nelle città rischia di diffondersi il panico.
Si scatena il finimondo. Il presidente francese François Hollande riepiloga il pensiero dei grandi Paesi dell’Ue, Germania compresa: «Deploro la scelta di Atene. Eravamo vicini a un accordo». Da Berlino arriva la voce di frau Merkel, che tuttavia spera ancora nel compromesso: «L’euro è più di una moneta. Se fallisce, fallisce l’Unione». Il ministro dell’economia italiano Pier Carlo Padoan, nel tentativo di spegnere l’incendio che minaccia i mercati internazionali, sostiene che la Grecia non trascinerà con sé il mercato unico: «Abbiamo le armi per combattere la speculazione».
In questo quadro, con gli occhi del mondo puntati sull’Acropoli, è il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis a rilanciare la palla nel campo europeo: «I vertici dell’Ue non sono in grado di adottare iniziative politiche; i capi di governo europei devono agire… Noi abbiamo già esposto le nostre posizioni. Sono eque e accompagnate da notevoli concessioni». Concessioni?, si chiedono a questo punto Angela Merkel e François Hollande, assieme al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, a quello della Bce Mario Draghi e a Christine Lagarde, direttore Fmi. In realtà il popolo greco è allo stremo, ma è altrettanto vero che la Grecia in tutti questi anni è stata governata da greci. E al Parlamento e al governo greci spetta fornire risposte politiche plausibili alla deriva finanziaria e sociale.
Anche perché all’origine di questa instabilità si colloca l’adesione all’eurozona fortemente voluta – e maldestramente perseguita – da Atene. E se si accetta di far parte di una “casa comune” e di una moneta comune, con regole ben definite, è necessario rispettare tali regole. Lo ha ricordato, magari con tono poco conciliante, Manfred Weber, tedesco, presidente del gruppo del Partito popolare al Parlamento europeo: «Tutti i responsabili politici hanno affermato che l’eurozona non può essere soggetta a ricatti. Anche un governo radicale deve accettare che ci siano regole che devono essere rispettate».
Sviluppi della situazione sono attesi di ora in ora. Ma se ne può già trarre una riflessione. La costruzione europea si fonda sul doppio criterio di responsabilità e di solidarietà (è stato detto anche al Consiglio Ue della scorsa settimana a proposito di migrazioni e profughi): nessuno dei due può mancare. Il primo criterio oggi è soprattutto in capo alla Grecia, il secondo all’Europa nel suo insieme. Al di là della cronaca, su questi aspetti fondanti occorrerà tornare a lavorare e a costruire insieme.