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Cina

La rielezione di Xi Jinping, «c’è grande nervosismo»

Confermato segretario generale, presidente della Repubblica Popolare e capo delle Forze Armate, è ora il leader più longevo e potente dai tempi di Mao Tse-tung. Il commento di Francesco Sicci, già corrispondente da Pechino

Di Maria Chiara BiagioniAgensir

25 Ottobre 2022
Xi Jinping

«Nella sostanza il prolungamento al potere di Xi Jinping non è una novità. Mao Tse-tung è rimasto al potere 30 anni circa, e così anche Deng Xiaoping. È il modo con cui rimane al potere che è nuovo. Mao Tse-tung è rimasto come presidente del partito. Deng Xiaoping come presidente della commissione militare. Xi Jinping rimane al potere cambiando le regole e imponendo un sistema nuovo che fa capo solo a lui stesso. Non è una differenza banale». È il parere di Francesco Sisci, corrispondente per anni e per diverse testate italiane da Pechino, senior researcher presso la China People’s University, alla rielezione per un inedito terzo mandato di Xi Jinping a segretario generale del Partito comunista cinese (Pcc), presidente della Repubblica Popolare e capo delle Forze Armate. «C’era stata una fase in cui il potere non era concentrato nelle mani di una persona singolo ma diviso in un gruppo di veterani del partito che gestivano le cose – spiega Sisci -. Questo, secondo Xi Jinping, non funzionava più perché ha portato un sistema di corruzione e disordine nei processi decisionali che non era più gestibile. Ha quindi deciso di introdurre un nuovo modo di gestire la politica».

Su tutte le tv del mondo, si sono viste le immagini dell’ex presidente cinese Hu Jintao che è stato inaspettatamente portato fuori dalla cerimonia di chiusura del Congresso del Partito comunista nella Grande sala del popolo. Ma cosa è successo?
Quello che è successo è adesso abbastanza chiaro. Sono emerse delle riprese televisive ed una serie di foto scattate poco prima dell’episodio e pubblicate da ABC, giornale spagnolo, in cui si vede Hu Jintao chiaramente confuso. L’ex presidente sta per aprire una busta chiusa che tutti tengono chiusa. Il numero 3 del partito cerca allora di fermarlo con le buone, ma lui non si rende conto. Si vede poi Xi Jinping che chiama uno degli inservienti e Hu Jintao viene portato via di peso. Le sequenze sono chiare e rivelano cosa è successo. La vera domanda è: se si sapeva, come si sapeva, che Hu Jintao stava male, perché lo hanno fatto partecipare al Congresso? La risposta è che nella “liturgia” del partito serviva la benedizione dell’ex segretario del partito e presidente dello Stato per il nuovo corso.

Ma perché sta male?
Pare che abbia un Parkinson avanzato.

Quindi non c’è nessun giallo?
No, anche se parliamo di Cina, non c’è nessun giallo. Il giallo è capire perché se stava così male, lo hanno portato comunque lì. È solo perché serviva la benedizione a tutti costi della vecchia guardia al nuovo corso.

Insomma, doveva andare in scena al Congresso la rappresentazione perfetta del potere incontrastato di Xi Jinping. Cosa è successo negli ultimissimi anni per portare la Cina a un simile corso?
Il processo non è cominciato adesso, ma 10 anni fa, nel 2012, quando Xi Jinping ha assunto il potere che negli anni ha man mano concentrato su se stesso, arrivando oggi a costituire un “Politburo” fatto di fedelissimi.

Ma perché è successo?
La diagnosi, giusta o sbagliata che sia, è che nel periodo che va dalla fine degli anni ‘90 al 2012, il potere in Cina si è disperso in mille rivoli e il processo decisionale si è ingabbiato in un sistema in cui non si sapeva più chi decideva cosa. Per farlo andare avanti, si è innestato un sistema di corruzione dilagante e pervasiva. La corruzione e la dispersione del potere sono state considerate le due facce della stessa medaglia e cioè dell’inefficienza estrema del sistema di governo. Per risolvere questo problema, Xi Jinping ha pensato di concentrare il potere su stesso e su un gruppo di uomini fedelissimi.

Un grido di debolezza, quindi?
È un processo in realtà lungo, cominciato nel 2012, non di adesso. Xi Jinping si è preso tutto il potere perché pensa di poter risolvere le cose. Certamente, se gli è stato permesso di farlo, è perché c’è un consenso interno a lui che dice che effettivamente le cose non stanno andando bene.

Quanto hanno influito le preoccupazioni per Taiwan e Hong Kong?
Niente, perché, ripeto, il criterio di questo nuovo corso parte da lontano, dal 2012. L’ordine temporale è molto più lungo.

Cosa cambierà dal punto di vista dei rapporti internazionali?
Non lo sappiamo. Né nella relazione introduttiva né in quella finale, Xi Jinping ha parlato molto di questioni internazionali. Nella prima relazione, l’ha propria saltata. Nella relazione finale ha solo detto in maniera molto generica di essere aperti alla cooperazione. Una cosa è chiara: si rendono conto di essere in grande difficoltà, perché hanno sbagliato tutta una serie di giudizi e opinioni e ora sono persi.

Hanno sbagliato cosa?
Con la Russia, con l’Ucraina e anche con gli Stati Uniti che davano per sconfitti e in declino e adesso sono tornati più forte che mai. Non so cosa succederà, ma so che il fatto di non aver parlato di questioni internazionali, è indice di difficoltà.

Cioè?
Il destino della Russia è segnato. La domanda non è non “se” la Russia cederà, ma quando. Inoltre, abbiamo l’Iran degli Ayatollah che sta traballando. E’ come se stesse prendendo forma quello che era l’incubo cinese e cioè di un paese assediato da Paesi ostili. La Cina non l’aveva previsto e non se l’aspettava. C’è stato quindi un errore di giudizio profondo. E questa incapacità o errore di giudizio, ha creato oggi una situazione di grande nervosismo, oggettivamente rischiosa.