da Il Segno di novembre
«Ieri mi ha contattato una volontaria del carcere di Vigevano per chiedere se possiamo accogliere una donna di circa 70 anni che tra poco finirà di scontare la sua pena. Non ha nessuno che la possa aiutare, non ha una rete di supporto, inoltre non ha più la residenza e questo rende il tutto più complicato». Quella che racconta Gaia Lauri, assistente sociale della Casa della carità di Milano, non è una richiesta così inconsueta per la storica struttura milanese votata all’accoglienza dei più fragili. Ed è al tempo stesso una vicenda che sintetizza molte delle difficoltà che deve affrontare chi, dopo aver trascorso un periodo in carcere, sta per tornare all’esterno, perché ha terminato di scontare la propria pena o perché può beneficiare delle cosiddette misure alternative.
Contrariamente a quanto si può pensare, infatti, l’uscita dal carcere può essere un momento molto difficile, in particolare per chi è più povero, più fragile, è dipendente da sostanze o ha problemi di salute mentale. Perché una volta “fuori” è necessario fare i conti con una serie di problemi che durante la detenzione erano stati “sospesi”. A partire dalla mancanza di una casa, che rappresenta un requisito fondamentale per quei detenuti che hanno diritto a scontare gli ultimi due anni della propria pena in misura alternativa.
I numeri
Occorre però fare un po’ di chiarezza. In tutta Italia al 31 dicembre 2023 risultano più di 83 mila i detenuti che beneficiano di diverse forme di misure “alternative e di comunità”: soprattutto uomini (88%) e cittadini italiani (circa 80%) che, invece di scontare la propria pena (in toto o in parte) in carcere, affrontano percorsi di reinserimento sociale sul territorio o a cui vengono applicate misure di comunità.
Secondo i dati forniti dall’Ufficio interdistrettuale per l’esecuzione penale esterna (Uiepe), nel 2023 in Lombardia erano 15.839 le persone in misura (di nuovo, soprattutto uomini e con cittadinanza italiana): il 19% impegnati in lavori di pubblica utilità per aver violato il codice della strada, il 28% in messa alla prova e il 47% a scontare la pena secondo una delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario, ovvero l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e la semilibertà.
«Sia tra chi arriva a fine pena, sia tra chi ha maturato i requisiti per accedere alle misure alternative, molti non hanno un posto in cui andare. Spesso i genitori o il coniuge non vogliono avere rapporti con il proprio congiunto, e quindi viene meno la possibilità di un ritorno a casa – spiega Alessia Mazzotta, mediatrice familiare dell’associazione di volontariato Il Girasole -. Per questo lavoriamo molto per ricucire i rapporti e prestiamo una particolare attenzione al ruolo genitoriale, quando ci sono figli». L’associazione, inoltre, mette a disposizione alcuni appartamenti per l’accoglienza dei detenuti in misura alternativa all’interno di un percorso di accompagnamento che coinvolge educatori, psicologi e volontari, e che ha come obiettivo finale il reinserimento sociale.