Anche in Italia gli anziani sono sottoposti a una duplice pressione. Da un lato sono costretti a prolungare la loro permanenza nei posti di lavoro; dall’altro, quando finalmente raggiungono l’età pensionabile, sono chiamati a un altro impegnativo lavoro, quello di cura nei confronti di nipoti e altri anziani non autosufficienti.
Il combinato disposto dall’innalzamento dell’età pensionabile e dei tagli al sistema dei servizi (il welfare) sta trasformando i sessantenni, i “giovani anziani appena usciti dal mercato del lavoro”, in una generazione-sandwich, schiacciata da spinte contrapposte, che va assottigliandosi sempre più. Fenomeno che, tra l’altro, produce anche un indesiderabile effetto collaterale: la diminuzione di risorse disponibili a servizio delle parrocchie e del vasto mondo dell’associazionismo cattolico, che proprio anche su quelle figure, tradizionalmente, contano per i vari impegni caritativi, educativi, liturgici che costituiscono la vita delle comunità ecclesiali.
È questo il quadro che emerge dal documento “Anzianità e prospettive di benessere, ovvero come prevenire il disagio senile”, presentato oggi a Milano nel corso del convegno organizzato da Caritas Ambrosiana in collaborazione con la Rappresentanza Regionale a Milano della Commissione europea. Come si intuisce dal titolo, tuttavia, il testo non si limita a mettere in luce gli elementi critici della condizione anziana, ma suggerisce anche alcune indicazioni operative per restituire a quell’età della vita il suo valore.
I suggerimenti sono molto concreti. Si parla, per esempio, di ridistribuzione del lavoro di cura sui componenti dell’intera famiglia, perché a farsi carico del nonno ottuagenario non più autosufficiente non sia solo la figlia sessantenne, ma anche il nipote o la nipote 40enne. In questo quadro non solo la famiglia naturale, più ristretta, va valorizzata, ma anche quella allargata. Il documento invita a riscoprire persino la “logica del buon vicinato” una forma di “gratuità e dono di sé”, a lungo misconosciuta, a vantaggio di forme più organizzate e strutturate. Proprio le relazioni di buon vicinato vanno, invece, sostenute «soprattutto, quando assumono il valore dello scambio e della restituzione di ciò che si è ricevuto, di un’interdipendenza tra persone e tra generazioni che costituisce le comunità e la società intera».
Alla base c’è dunque l’idea che «la famiglia che invecchia in alcune sue componenti è chiamata inoltre a ristrutturare le forme dei propri legami e a rileggere le dinamiche interne nella logica del dono, da connettere strettamente a quella dello scambio, dove ognuno dei soggetti ha sempre e certamente qualcosa da dare e da ricevere, uscendo da un modello familiare che prevede una scansione della vita per fasi distinte e separate: un’infanzia e una giovinezza oggetto di tutte le attenzioni e le cure possibili, una età adulta produttiva, procreativa e protagonista su tutti i fronti della vita personale, familiare e sociale, una prima vecchiaia da “utilizzare e spremere”, una seconda/terza vecchiaia oggetto di sola cura e quindi di oneri e fatiche per i familiari». Se dunque, per prevenire il disagio senile, vanno rivistati i ruoli all’interno della famiglia, è necessario rivedere anche le modalità di uscita dalla vita lavorativa, privilegiando al posto di una brusca cesura, passaggi graduali attraverso forme negoziate di part-time.
Dopo avere dovuto affrontare la perdita del proprio ruolo sociale, gli anziani vanno poi incontro alla perdita anche del ruolo all’interno della famiglia, quando invecchiando, non possono più rendersi utili a nipoti e figli. La sola strategia per prevenire questo rischio è coltivare l’«attenzione delle relazioni umane e familiari», al di fuori di una logica “utilitaristica”. Si può infine contrastare anche la perdita d’identità personale legata al sopraggiungere di malattie gravi, se si riescono a mantenere ruoli significativi, pur modificando necessariamente i ritmi di vita. È la fase nella quale all’anziano «vanno riconosciute la sua storia personale, la sua cultura, le sue radici, la sua appartenenza. Un strategia utile all’anziano stesso per vivere meglio la stessa malattia.
In conclusione il documento sostiene un assunto: così come alla vita lavorativa ci si prepara con un lungo percorso di formazione, occorre prepararsi per tempo anche alla propria condizione di anziano, investendo in quel capitale umano, che sono la famiglia e le relazioni sociali.
Nel corso del convegno sono state presentate alcune iniziative-modello: il laboratorio di sartoria “El rocul” al quartiere Barona, due centri di prossimità, “La Tenda” e il “Cortile”, a Milano, il centro di solidarietà “La Fonte” a Lecco (in allegato).