Ha fatto notizia l’intervista di Elena Di Cioccio alle «Iene» in cui l’attrice e conduttrice, figlia di Franz Di Cioccio (batterista della Pfm), ha confessato di convivere da vent’anni con l’Hiv. Ne parliamo con Laura Rancilio, medico e rappresentante di Caritas Italiana nella sezione del Comitato tecnico-sanitario del Ministero della Salute dedicata alla lotta all’Aids: «È moto bello che persone con Hiv riescano a raccontare le loro storie – dice Rancilio -. Soprattutto, nella sua intervista Elena è riuscita a mettere in luce tutta una serie di aspetti della fatica di vivere con l’Hiv che sono frequenti nei sieropositivi. Per esempio, il fatto di sentirsi “sdoppiata” tra una Elena “segreta” e quella conosciuta dagli altri: riuscire a dirlo pubblicamente è un modo per rimettere insieme le diverse parti del sé. Ed è anche un modo per dire: io non sono il mio virus, sono una persona a 360 gradi, che ha tante sfaccettature e che, semplicemente, ha contratto l’Hiv».
Secondo Rancilio quella di Elena Di Cioccio è una testimonianza preziosa anche sotto altri punti di vista: «Ha parlato molto bene dei progressi terapeutici: oggi basta davvero una pillola sola, non più una manciata di farmaci come in passato, per tenere a bada l’Aids. E se il virus è sotto controllo non si è contagiosi in nessun modo, consapevolezza che permette di vivere la malattia con più serenità».
Che l’assenza di carica virale rilevabile nel sangue significhi non essere contagiosi lo si sa già almeno dal 2006, da quando un gruppo di ricercatori svizzeri avanzò questa ipotesi, confermata nel 2019 anche dalla Conferenza di consenso del Ministero della Salute italiano. Ma siamo ben lontani da una informazione corretta sull’argomento: «Da qualche anno – racconta Rancilio – si è fatto strada lo slogan “U=U”, che significa undetectable = untrasmissible. Questa consapevolezza ha liberato le persone con Hiv da un grosso peso. Ora hanno la certezza che, se portano avanti con responsabilità la terapia antiretrovirale, non solo possono vivere in salute, ma non sono un pericolo per gli altri. Purtroppo in Italia lo slogan è ancora poco conosciuto».
Rancilio non pensa invece che la testimonianza di Di Cioccio possa aver aiutato in modo significativo a far emergere il “sommerso”, cioè il numero, purtroppo ancora alto, delle persone che sono positive senza saperlo: «C’è un sommerso vero e proprio – spiega -, costituito dai reali inconsapevoli, che una dichiarazione di questo tipo non può smuovere in alcun modo. C’è poi una parte di sommerso che è fatta da persone che hanno il sospetto, ma non hanno il coraggio di fare il test. Forse, per questa parte della popolazione, sentire il racconto di vita e di sofferenza di Elena Di Cioccio può aver avuto l’effetto di spingerli a porsi qualche domanda in più…».
I dati
Dati veri sul sommerso non ce ne sono, se non le stime che si fanno sulla popolazione, sulla base di algoritmi forniti dall’Oms: «Lo si calcola approssimativamente intorno al 10-15% della popolazione con Hiv», spiega Rancilio. Per fortuna, sommerso a parte, i numeri dell’Aids continuano a essere confortanti. Secondo i dati pubblicati dal Ministero della Sanità a dicembre 2022, nel 2021 sono state riportate 1.770 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a 3,0 nuovi casi per 100 mila residenti in Italia, che si colloca così al di sotto della media dei Paesi dell’Unione Europea (4,3 casi per 100 mila residenti). In generale, l’incidenza delle nuove diagnosi da Hiv è in diminuzione dal 2012, con una riduzione più evidente dal 2018 e particolarmente accentuata negli ultimi anni. Bisogna tenere conto, però, che i dati del 2020-2021 possono aver risentito della pandemia.
Ovviamente inferiori i numeri per quanto riguarda la malattia conclamata. Il Registro Nazionale Aids, attivo dal 1982, nel 2021 ha ricevuto 382 segnalazioni di nuovi casi di Aids, pari a un’incidenza di 0,6 nuovi casi per 100 mila residenti. L’83% dei casi di Aids segnalati nel 2021 era costituito da persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nei sei mesi precedenti la diagnosi di Aids: «Questo conferma quanto già dicevamo – conclude Rancilio -, che cioè c’è ancora uno zoccolo duro di persone che si sono infettate diverse anni fa e lo scoprono tardivamente, quando cominciano ad avere manifestazioni cliniche che insospettiscono».