«È un accordo che possiamo definire “storico”, quello di Dubai, ed è arrivato proprio sul filo del rasoio». È il commento di Gloria Mari, responsabile del Centro Nocetum e membro del Tavolo di studio sulla custodia del Creato della Conferenza episcopale Italiana, al documento finale approvato alla COP28 il 13 dicembre, un giorno dopo la scadenza programmata del vertice.
Dopo le incertezze dei giorni precedenti, legate anche a quella che a molti è apparsa una contraddizione, cioè lo svolgersi dell’incontro proprio in un paese tra i massimi produttori di petrolio, è arrivata finalmente la frase che ha messo tutti d’accordo e che dà il via al cammino «verso l’abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050 in linea con la scienza».
«Finalmente si è trovata la possibilità di un cambio di passo – commenta Mari -. Individuare una data precisa, cioè il 2050, per lo stop alle fonti fossili, è un grande risultato. Sarebbe stato preferibile un termine più vicino, sicuramente. Ma se è vero che ci siamo spostati in avanti di vent’anni rispetto all’Accordo di Parigi e all’Agenda 2030, è anche vero che questa è una data più certa e definita». Infatti, fa notare Mari, «il limite del 2030 era un impegno, non vincolante per gli Stati, a contenere l’aumento delle temperature medie del globo a 1,5 gradi, senza specificare come si sarebbe dovuti arrivare a quel traguardo. Adesso, invece, abbiamo una road map verso e un obiettivo molto preciso, che prevederà sanzioni per chi arriverà al 2050 senza aver rispettato l’accordo».
Decisive per il raggiungimento dell’accordo, secondo Mari, le decisioni prese da Usa e Cina. Ma come cristiani non possiamo sottovalutare il peso dell’intervento di Papa Francesco, che sarebbe stato di certo ancora più incisivo se avesse potuto pronunciarlo di persona a Dubai, come inizialmente previsto, se non fossero intervenuti problemi di salute: «Se nella Laudato si’ il Papa legava l’importanza della cura del Creato alla giustizia sociale, perché il grido della Terra è anche il grido dei poveri, nell’intervento alla COP28, come già mell’esortazione Laudate Deum, Francesco introduce il concetto di multilateralismo. Non basta parlare di società globale, bisogna davvero creare una “famiglia di nazioni” che, tutte insieme, convergano su un piano comune per la salvezza del Creato. Questa visione di papa Francesco, in un’epoca segnata dai conflitti, porta con sé anche la sottolineatura della centralità della pace. Cura del Creato e pace “sono le tematiche più urgenti e sono collegate”, ci dice Francesco. E infatti il Papa nel messaggio rilancia la sua proposta di costituire un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame con il denaro impiegato nelle spese militari».
Ecologia che non può essere disgiunta dalla giustizia sociale e, ora più che mai, nemmeno dalla pace. È questa la grande intuizione, la sintesi perfetta di Francesco. Del resto, il grido dei poveri si è alzato forte, a Dubai, per esempio nelle parole Anne Rasmussen, capo delegazione delle isole Samoa, che ha criticato il documento finale definendolo «pieno di scappatoie» e denunciando l’esclusione dalla stanza dei bottoni dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari, nazioni la cui stessa esistenza è minacciata dai cambiamenti climatici.
«I Paesi di recente industrializzazione – spiega Mari – utilizzano le fonti fossili perché per loro le rinnovabili sono troppo costose. Bisogna sostenere anche economicamente la loro transizione ecologica, altrimenti l’abbandono delle fonti fossili rimarrà solo un bel proposito sulla carta».
Milano, nel suo piccolo, può fare la sua parte, dice convinta Mari: «Milano ha spesso il ruolo di anticipare le tendenze in Italia: mi auguro che possa anche in questo fare da modello, rispondendo all’appello del Papa e accogliendo la firma di Dubai con gesti concreti, che vadano verso un reale efficientamento energetico e verso un serio ascolto poveri».