I problemi del lavoro, specie dei giovani, le alleanze tra scuola, formazione e aziende, i problemi demografici e la loro incidenza sul mercato della produzione, il valore della persona, il lavoro povero e il ruolo dei cristiani. Per rispondere a tutto questo, la Pastorale sociale e del Lavoro, con l’Università Cattolica, ha promosso una mattinata di studio e approfondimento dal titolo «Del Lavoro e della Persona», svoltasi presso l’Aula Pio XI dell’Ateneo.
L’incontro, con la partecipazione di diversi qualificati relatori, ha inteso risvegliare la domanda di senso sul significato profondo del lavoro, stimolando processi di rinnovamento e identificando strategie concrete per affrontare le sfide delle fragilità nel mondo di oggi con un approccio interdisciplinare che riconosce, in ogni caso, che «la vera ricchezza sono le persone». Così come ha sottolineato, nel suo intervento conclusivo, l’Arcivescovo identificando due parole fondamentali: la necessità di una riflessione critica sul sistema e di una formazione complessiva che tenga conto delle motivazioni per cui si fa o non si fa qualcosa.
Trovare la propria vocazione
«Vorrei richiamare alcune parole – ha detto -. La prima parte dal perché questo convegno si è svolto in Cattolica. Perché qui si pensa, si studia e si fa ricerca e questo dice di una sfida da raccogliere che si pone, però, spesso come un inseguimento della tecnologia e del mondo del lavoro. Io credo che il sistema di inseguire abbia dentro qualcosa di perverso e che l’Università sia incaricata di formare i professionisti di domani, ma anche di sviluppare una vocazione al pensiero critico su quello che succede».
Poi, la seconda parola, quella posta dalla questione di una formazione complessiva, con il tema che sembra oggi censurato: la vocazione: «Non si tratta solo di addestrare i giovani, ma di qualcosa di più complesso che adeguarsi al sistema: di vivere con una motivazione».
Il lavoro povero
Sulla questione del lavoro povero si è soffermato Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana: «Di coloro che si rivolgono ai nostri Centri di ascolto, il 70% lo fa per il reddito, il 36% per motivi di occupazione, il 18% di abitazione. Le richieste sono per il 51% di beni materiali, 23% di sostegno personale, 10% per sussidi economici. I disoccupati sono il 52% (-10% dal 2016), gli occupati il 23%. Sono raddoppiate le persone che si presentano ai CdA chiedendo un sostegno al reddito, pur avendo un lavoro: 81% dei part time, 73% dei full».
Tre i profili dei lavoratori poveri. «Il primo riguarda il mondo del precariato, dei contratti atipici, della sottoccupazione e del lavoro irregolare. il secondo le persone che, pur in presenza di un regolare contratto di lavoro, svolgono professioni scarsamente qualificate e, di conseguenza, non sufficientemente retribuite da consentire di superare senza un aiuto periodi difficili come quelli iniziati con la pandemia; un terzo profilo, più residuale, è quello di persone con competenze più tecniche, specifiche, che consentono loro di essere impiegati, spesso nel settore dell’industria, con retribuzioni dignitose, ma con capacità finanziarie limitate. Soprattutto nel contesto metropolitano, in cui il costo della vita è sempre più oneroso, per questi nuclei, spesso monoreddito con figli a carico, diventa difficile gestire il budget familiare, specie quando insorgono degli imprevisti. Inoltre, la presenza di un reddito relativamente alto rende difficile in questi casi avere accesso agli aiuti istituzionali o poter beneficiare di una casa popolare».
Da qui la richiesta di alleanze tra diverse realtà, scuola, aziende, Terzo settore. Come fa da 4 anni il Fondo Diamo lavoro, basato su una rete territoriale di segnalazioni dai Centri di Ascolto per attivare tirocini. Chiari i risultati di questo circuito virtuoso: 3200 candidati, 2200 ritenuti adatti, il 40% inseriti in tirocini e il 42% degli inserimenti divenuti assunzioni.
La persona e il lavoro
Partendo dal tema dei tragici incidenti sul lavoro, don Nazario Costante, responsabile del Servizio per la Pastorale Sociale (era presente anche il vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan), ha delineato il senso della centralità della persona e della dignità nel contesto lavorativo: «Il lavoro genera comunità e la comunità genera lavoro in una perfetta reciprocità. La Chiesa vive di comunione, ed educa alla “relazionalità” e al “bene comune”. Le nostre comunità sono chiamate a donare prospettiva su ciò che si fa, indicando non solo il “come” si sta nel mondo, ma anche per “chi” si lavora e si fatica. La maternità della Chiesa è chiamata a spendersi in una esperienza di accompagnamento nella vita quotidiana, dove l’uomo abita, si forma e lavora. Sviluppare una vera pedagogia del lavoro significa insegnare ai giovani non solo a lavorare “per qualcuno”, ma anche a lavorare “per qualcosa” in una dimensione più ampia. Il lavoro è quindi vocazione, tempo che edifica la persona e la comunità. Confidiamo nel potenziale dei giovani e riconosciamo l’importanza di un’azione congiunta tra economia, finanza, politica e cultura per sviluppare reti di sostegno per i giovani».