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Economia

Decreto per la crescita:
fare di necessità virtù

Gli 80 miliardi di euro riflettono il proposito o la realtà?

di Nicola SALVAGNIN

18 Giugno 2012

“Fare di necessità virtù” o, più prosaicamente, “fare le nozze con i fichi secchi”: interessanti modi di dire che spiegano bene come fare un decreto legge di incentivo allo sviluppo economico, senza metterci un euro o quasi. Perché, nella sostanza, l’Italia non ha soldi per irrorare né a pioggia, né selettivamente il terreno dell’economia. Ecco spiegato anche il ritardo con cui è stato presentato all’opinione pubblica: c’era da creare un fumo di parole, buoni propositi, grandi motivazioni per nascondere un arrostino che non può essere né quello di una volta, né quello di altri Stati che hanno usato la leva monetaria per dare ossigeno all’economia. Non abbiamo soldi, né li possiamo stampare, ecco.

Quindi gli “80 miliardi di euro per la crescita” pomposamente definiti dai titoli dei giornali riflettono più le parole del ministro Passera, che la realtà. La mancanza di copertura finanziaria – il vero motivo del ritardo – si vede già dal provvedimento che estende il bonus fiscale per le ristrutturazioni edilizie dal 36 al 50% delle spese sostenute. Per giorni era passato il concetto di “per sempre”; alla fine il bonus durerà un anno, quanto quello per gli interventi di riqualificazione energetica che addirittura cala dal 55 al 50%. E queste misure sono passate solo perché il bonus è quasi interamente compensato dalla maggiore fiscalità generata dal fare uscire dal “nero” molto lavoro attorno alle case. Ma quel “quasi” ha paralizzato il governo per diversi giorni.

Per il resto, si parla di 225 milioni di euro per un Piano nazionale delle città che mira a riqualificare molte periferie: il Piano è ancora sulla carta e, con quei soldi, ci si ferma alle porte di Milano e poco più. Poi sono in arrivo (su un binario ancora da identificare) finanziamenti agevolati alle imprese che assumono giovani nella green economy e generosi crediti d’imposta a chi assume personale qualificato che in realtà ha poca difficoltà già ora a essere assunto: sono tutti gli altri che rimangono al palo.

Si fa poi un po’ di ingegneria amministrativa (l’Agenzia per l’Italia digitale, un po’ più di risorse all’Ice che fino a poco tempo fa era considerato un carrozzone che dell’Italia all’estero non sapeva promuovere nulla), e – per decreto – si rifà funzionare la giustizia civile stabilendo mini-indennizzi per chi non ottiene giustizia entro termini che sarebbero inaccettabili in ogni Paese occidentale, ma qui sembrano addirittura avveniristici. Forse sarà più efficace il filtro che si vuole introdurre ai processi d’appello.

Francamente, l’unica norma che può suscitare d’interesse è quella fortemente voluta da Passera, che prevede una fiscalità di favore (12,5%, come i Bot) per quelle obbligazioni legate alla realizzazione di una grande opera, e ponti distesi verso i capitali privati che volessero impegnarsi all’uopo. Non una novità (l’obbligazione Infrastrutture per la Tav, per esempio), ma una buona idea della quale vedremo i frutti che farà.

La ciccia in coda: si sta creando una nuova Iri in capo alla Cassa depositi e prestiti (Stato più fondazioni bancarie) che sta accumulando quote di aziende statali di primaria importanza, e che ora “comprerà” allo Stato Fintecna, Sace e Simest girandogli circa 10 miliardi di euro. Operazioni contabili per fare il lifting al nostro debito pubblico, ma anche la creazione di una holding pubblica che sempre più assomiglia all’antica Iri che industrializzò l’Italia.

Con una bella dote di aziende sane e robuste, la Cdp avrebbe un capitale sufficiente per emettere obbligazioni per decine di migliaia di euro aventi due grandi qualità: non sarebbero contabilizzate nel debito pubblico, e sarebbero soldi veri da impiegare su progetti seri. Questo sì che è arrosto.

Che dire? Siamo all’inizio. Quel che meno si vede è appunto la parte più importante, compreso l’iter che è iniziato per vedere come valorizzare il grande patrimonio immobiliare dello Stato, che non si deve svendere – tra l’altro: chi compra oggi? -, ma nemmeno tenere lì infruttuoso e mal tenuto. Si pensi al patrimonio di caserme e aree militari in capo al ministero della Difesa.

Il resto sarebbe stato materia di un decretino da metà settimana, se non ci fosse l’estrema necessità di truccare i fichi secchi come sontuosa frutta. Anche l’aspetto psicologico conta, in un momento in cui la parola “fiducia” è più importante di incentivi, sgravi, finanziamenti.