Articolo tratto da “Il Segno” n. 9 – Settembre 2022
Leggendo i programmi elettorali non sembra di vivere in un Paese a maggioranza cattolica. E non perché vi sia un grande afflato laico o addirittura laicista. L’affermazione può sembrare arbitraria e spericolata ma se l’evocazione dei principi cristiani si riduce a una mera questione di marketing o a un corteggiamento strumentale della comunità cattolica, il quadro non è incoraggiante. L’unità dei cattolici in politica, dopo la fine della Prima Repubblica, non c’è più. La loro dispersione nell’insieme dell’offerta politica è stata ed è un valore aggiunto. A volte però il loro peso è così modesto che sfiora l’irrilevanza. La presenza cattolica non si limita – come purtroppo appare in superficie – a una questione corporativa della fede, alla difesa dei valori della famiglia e della sacralità della vita. Temi sui quali anche tra i credenti le posizioni sono articolate e sofferte pur nel rispetto della dottrina.
Ma c’è un aspetto fondamentale della vita pubblica, e dunque anche del confronto politico, che viene frequentemente trascurato. Ed è quello della promozione sociale dell’individuo, della dignità della persona e della cura delle comunità nelle quali il cittadino, qualunque sia il proprio orientamento, è parte e protagonista. Sostenibilità e inclusione, parole di moda, architrave del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sono termini che fanno parte da secoli della tradizione cristiana. Sono iscritti nel codice genetico del ruolo civile della Chiesa. E, allora, è utile riassumere, senza l’ambizione della completezza, alcune linee di fondo che riguardano il futuro del nostro Paese per la comprensione delle quali è necessaria una più chiara e visibile presenza cattolica.
Meno siamo peggio stiamo
L’Italia, non solo sta inesorabilmente invecchiando, ma è sempre più vuota. Soprattutto di giovani. La percezione pubblica va però nella direzione esattamente contraria perché l’immigrazione, quando non è governata, crea inquietudine, disagio specie tra i ceti più deboli, nelle periferie urbane. Noi abbiamo bisogno di immigrati senza i quali, per esempio, non riusciremo mai a invertire il declino del tasso di natalità. Non basta tutelare meglio le donne che lavorano, incentivare fiscalmente le famiglie, e costruire più asili nido per arrestare il declino demografico. Il caso della Valle D’Aosta insegna. Se la quota di popolazione sotto i 30 anni è modesta, l’immigrazione sporadica, non c’è welfare che tenga. I soli Paesi che in Europa sono riusciti in questo intento, in particolare Germania e Svezia, hanno investito sul ruolo delle donne, promosso la famiglia e attratto immigrazione di qualità. Hanno accolto e integrato. Anche l’immigrato più disperato, che approda avventurosamente sulle nostre coste, e poi non vuole restare, esprime un giudizio poco lusinghiero sul Paese. C’è anche il rating della povera gente. E forse dovremmo preoccuparcene. Più di quanto non ci inquietino i giudizi delle agenzie internazionali sull’economia italiana.
Anziani curati, giovani sollevati
Gli anziani non autosufficienti saranno la grande emergenza dei prossimi anni. La Commissione, istituita dal governo Draghi e presieduta dal vescovo Vincenzo Paglia, ha prodotto un documento di grande rilevanza. Peccato non se ne parli in campagna elettorale. Eppure abbiamo ancora nei nostri occhi, e nei nostri cuori, le immagini strazianti di tanti nostri concittadini morti, senza nemmeno una parola e un gesto di conforto, nelle Residenze per gli anziani falcidiate dalla pandemia. La quarta età ha pagato un prezzo altissimo al Covid. Non l’abbiamo sufficientemente protetta, ora rischiamo di abbandonarla un’altra volta. Il documento Paglia afferma il diritto dell’anziano non solo all’assistenza sanitaria e sociale ma anche a una vita dignitosa fino all’ultimo, nel limite del possibile nel suo ambiente, circondato dai suoi affetti, al centro della sua comunità. Non in un angolo della società, in un cronicario, come un oggetto inutile. La rivoluzione delle Rsa non può però essere sostenuta solo dalla spesa pubblica. Occorre coinvolgere di più il terzo settore, il volontariato, vero grande capitale sociale italiano, largamente sottostimato, ma soprattutto pensare a una forma di assicurazione obbligatoria. Pochi euro all’anno per assistere meglio gli anziani e non caricare ulteriormente di doveri e debiti le prossime generazioni.
Povertà, assistenza e accompagnamento
Nessuno mette in dubbio che il Paese si sia impoverito e sia diventato più diseguale. Non basta però aiutare chi è in difficoltà ma occorre anche accompagnarlo in un’ipotetica ripresa dell’indipendenza personale e familiare e favorirne, quando è possibile, il riscatto sociale. Solo così lo si considera un cittadino a pieno titolo. Se una misura – come per esempio il reddito di cittadinanza – è utile e forse insostituibile per assicurare il sollievo di milioni di italiani, diventa dannosa quando non si tramuta in un’offerta di lavoro per chi è occupabile. Ogni abuso non è – come pensano in molti – uno spreco di risorse pubbliche, quasi inevitabile. Ma un aiuto mancato a chi ne ha veramente bisogno.
La Sanità di tutti che pochi pagano
Abbiamo lodato per mesi il Servizio sanitario nazionale che ci costa più di 120 miliardi l’anno. Uno dei migliori al mondo. Anche se poi assistiamo al paradosso di una regione, come la Calabria, che “importa” 400 tra medici e infermieri cubani. La Sanità pubblica cura tutti. Senza eccezioni di reddito e cittadinanza. Anche chi non paga un euro di tasse e magari le evade da anni. Tutti i partiti vogliono, non senza ragioni, eliminare l’Irap, tassa regionale che fu decisa a suo tempo proprio per finanziare la Sanità. Metà dei contribuenti Irpef versa in media poco più di 17 euro al mese. Domanda: se il Servizio sanitario nazionale è così importante, e persino motivo di orgoglio nazionale, perché solo pochi italiani lo sostengono? Anche qui è una questione di equità. Chi può farlo dovrebbe sentirsi in dovere di contribuire di più. Se non lo fa danneggia anche e soprattutto chi ha più bisogno e nella spirale della malattia non può rivolgersi alla sanità privata. Un’ingiustizia nell’ingiustizia.
Capitale umano e giovani in fuga
E veniamo all’ultimo, ma non in ordine d’importanza, tema fondamentale per il futuro del Paese. Dovremmo vergognarci ogni giorno per il fatto di essere, tra i Paesi dell’Unione europea, agli ultimi posti nell’istruzione terziaria (lauree) e di essere, invece, al primo per numero di ragazze e ragazzi che non studiano né lavorano. I giovani più preparati se ne vanno all’estero dove vi sono più opportunità e dove sono pagati meglio. La cura e la formazione del capitale umano, e dunque anche l’educazione civica, il senso di vivere in comunità verso le quali si deve affetto e riconoscenza, sono le chiavi del futuro. Se più istruiti e consapevoli delle grandi sfide che ci attendono, il futuro non ci dovrebbe far paura. Rinchiuderci in noi stessi, con lo sguardo nostalgicamente rivolto al passato, in difesa egoistica di ciò che abbiamo, è il modo migliore per condannarci al declino. All’inizio è lento, quasi impercettibile. Quando ce ne si accorge, è troppo tardi.