«I militari israeliani si sono spinti fino a Tel al-Hawa che è il quartiere dove si trova la nostra scuola. Israele ha intimato di lasciare le abitazioni della zona, compreso il nostro istituto. Speriamo non bombardino». Le parole di suor Nabila Saleh di fatto confermano quanto già si sapeva per bocca del Capo di Stato maggiore delle forze israeliane, il generale Herzi Halevi: «I militari stanno operando all’interno della città di Gaza che hanno circondato da tre lati». «Le truppe israeliane hanno già superato la periferia di Gaza City e stiamo avanzando, nonostante perdite dolorose», ha poi annunciato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, citato dai media locali.
La conta dei militari israeliani morti in battaglia è salita a 23 vittime, mentre sono almeno 130 i terroristi di Hamas uccisi nelle ultime ore. Tra questi anche Mustafa Dalul, comandante del Battaglione “Sabra Tel al-Hawa” che fin dall’inizio della guerra ha avuto «un ruolo centrale nell’organizzare il combattimento con le truppe nella Striscia». A Gaza – secondo il ministero della Sanità di Hamas che non distingue tra civili e miliziani – i morti sono arrivati a 9.061: di questi 3.760 sono minori mentre i feriti sarebbero circa 32 mila.
La vita sotto le bombe
L’ultimo contatto con suor Nabila risale alla tarda serata di ieri: «La rete internet – racconta la religiosa – funziona poco e solo in alcuni momenti della giornata. Lo stesso vale per l’energia elettrica».
Lecita la preoccupazione della suora, che prima della guerra dirigeva la scuola del Patriarcato latino di Gerusalemme, la più grande della Striscia con i suoi 1200 e più studenti, in larghissima maggioranza musulmani: «La parrocchia della Sacra Famiglia, dove ci troviamo ora sfollati, dista non più di 5 minuti di auto da Tel al-Hawa. Ancora ieri mentre eravamo in chiesa a pregare abbiamo udito una grande esplosione dall’altro lato della strada, all’altezza dell’ingresso della parrocchia. Grazie a Dio non ci sono stati danni e feriti, ma solo una grande paura tra le 700 persone accolte all’interno del complesso parrocchiale».
Che la situazione stia peggiorando giorno dopo giorno lo si capisce anche dal fatto che, dice suor Saleh, «dalla parrocchia oramai non esce più nessuno perché bombardano di continuo. I bambini che sono qui con noi ogni volta che sentono missili e bombe cominciano a disperarsi e a piangere. Nei giorni scorsi hanno bombardato anche il centro culturale dei greco-ortodossi distruggendo l’auditorium. Non c’è un posto bello rimasto in piedi a Gaza».
Nessuno lo dice, ma la paura più grande – con l’avvicinarsi delle truppe israeliane di terra – è trovarsi al centro di furiosi combattimenti casa per casa. All’interno della parrocchia, le religiose che assistono il vicario parrocchiale, padre Yusuf, si prodigano per assistere i bambini gravemente disabili, i malati, i feriti e gli anziani. «Cerchiamo anche di regalare un po’ di gioco e di spensieratezza agli altri bambini che trascorrono le giornate terrorizzati dalle bombe – spiega suor Nabila -. Per il momento riusciamo a soddisfare il bisogno di cibo e di acqua, ma non sappiamo per quanto tempo ancora. Continuiamo a confidare nella Provvidenza e preghiamo ogni giorno».
Le telefonate del Papa
La giornata in parrocchia a Gaza vive soprattutto di un appuntamento quotidiano, «atteso da tutti: è la telefonata di papa Francesco. Padre Yusuf lo mette al corrente di quanto accade. Ieri ho avuto modo anche io di parlare con lui. Ci rassicura e ci conforta, ci dice che conosce bene la nostra sofferenza, che prega per noi. Al termine di ogni conversazione ci benedice tutti. Il Papa è l’unico che ascolta la nostra voce, la voce delle vittime, di chi soffre questa guerra insostenibile e assurda».
Diplomazia e aiuti umanitari
Oggi è atteso a Tel Aviv il segretario di Stato americano Antony Blinken, per la sua terza visita in Israele dall’inizio della guerra. Secondo la Casa Bianca, dovrebbe sollecitare il governo israeliano ad accettare una pausa «temporanea e localizzata» nei combattimenti a Gaza e discutere su come ridurre al minimo i danni ai civili a Gaza. Ribadita anche la «ferma determinazione» degli Usa di evitare l’allargamento del conflitto nella regione. Anche la Turchia, come dichiarato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sta lavorando a «un cessate il fuoco e a una pace duratura tra israeliani e palestinesi».
Prosegue a rilento la consegna degli aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza: secondo la Mezzaluna rossa palestinese dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, sono transitati 374 camion umanitari nella Striscia di Gaza. Nella consegna degli aiuti non è stato incluso il carburante. Una goccia nel mare dei bisogni dei gazawi che hanno visto il 45% delle loro abitazioni distrutte o danneggiate dai raid israeliani. Nei giorni scorsi sono state razziate panetterie e forni da gruppi di gazawi bisognosi di cibo. Al valico egiziano di Rafah proseguono infine le operazioni di evacuazione, che finora hanno interessato circa oltre 800 persone (tra cui 74 americani) e che stanno coinvolgendo anche gli italiani.