Farzad è un giovane dentista afgano, laureato nel suo Paese. È arrivato in Italia a maggio 2023, grazie al progetto EU Passworld – Corridoi lavorativi per rifugiati (promosso da Caritas Italiana e Consorzio Communitas in accordo con Unhcr e cofinanziato dal fondo Amif). Farzad è stato costretto a fuggire dal suo Paese a causa di un concreto pericolo di persecuzione da parte dei Talebani, dopo le manifestazioni di piazza a cui aveva partecipato nel 2021-2022.
Farzad già in Pakistan, grazie al progetto dei Corridoi lavorativi, aveva seguito corsi di lingua italiana e di preparazione all’ingresso nel mondo del lavoro, incontri online con aziende e colloqui di selezione con potenziali datori di lavoro. Arrivato in Italia, ha ottenuto lo status di rifugiato e poco dopo, grazie alla disponibilità e alla lungimiranza della dottoressa Maria Grangia, titolare dell’omonimo studio medico di Cantù (Co), ha cominciato a frequentare un corso per assistente alla poltrona. Il contratto di lavoro con lo Studio dentistico Grangia, inizialmente part time, da marzo è stato trasformato a tempo indeterminato e a tempo pieno. Sul versante dell’integrazione nella comunità locale, un ruolo decisivo l’hanno giocato la parrocchia di Figino Serenza (Co) e la cooperativa sociale Novo Millennio.
Una storia di successo, quella di Farzad. Che ieri, in vista del 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato 2024, ha fruttato alla dottoressa Grangia il conferimento a Roma, da parte della sezione italiana dell’Unhcr – Alto Commissariato Onu per i rifugiati, del Premio “Welcome”, riservato a realtà imprenditoriali sensibili al tema dell’inserimento lavorativo di migranti e rifugiati. Il premio viene assegnato per la prima volta a un’impresa che ha accolto una persona giunta in Italia grazie ai Corridoi lavorativi. Farzad è uno dei cinque beneficiari del progetto accolto da Caritas Ambrosiana e dal suo sistema; gli altri hanno compiuto o stanno compiendo un percorso di ingresso nel mondo del lavoro e a loro si aggiungerà, nei prossimi giorni, una coppia (con bambino) sempre proveniente dall’Afghanistan via Pakistan.
I nuovi arrivati sono parte del contingente di 191 rifugiati afgani che il 21 giugno sbarcherà a Fiumicino, nell’ambito del più generale e consolidato programma dei Corridoi umanitari, da anni promossi dalla Conferenza Episcopale Italiana (attraverso Caritas Italiana) insieme a Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese e Arci, d’intesa con i ministeri dell’Interno e degli Esteri.
Caritas Ambrosiana accoglie i beneficiari dei Corridoi dal 2018; ha seguito la traiettoria di inserimento di circa 50 persone. Dal 2019 insieme a Diaconia Valdese collabora anche al progetto dei Corridoi universitari, che ha per capofila Unhcr e coinvolge giovani studenti rifugiati in possesso della laurea triennale, a cui viene consentito di affrontare il corso di studi per conseguire la laurea magistrale presso diverse università italiane, quattro delle quali milanesi (Statale, Bicocca, Bocconi e Politecnico), promotrici del progetto Unicore. A Milano sono state accolti e vengono seguiti 16 studenti, per la maggior parte giovani donne; 5 di loro hanno già tagliato il traguardo della laurea dopo un intenso corso di studi, con l’obiettivo di restare nei tempi fissati dal programma.
«La politica osi di più»
«Sono piccoli numeri, lo sappiamo – commenta Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, in riferimento alla dimensione quantitativa dei vari filoni dei Corridoi –, soprattutto se paragonati agli oltre 114 milioni di persone che nel 2023, secondo Unhcr, in tutto il mondo sono state costrette alla fuga da guerre, persecuzioni e violenze. Ma i Corridoi sono altrettante dimostrazioni del fatto che canali regolati e sicuri di ingresso in Italia e in Europa, sottratti alle mafie che governano il traffico di esseri umani, sono praticabili e fruttuosi. Anche per le comunità, addirittura per le università e le imprese dei territori in cui migranti e rifugiati si inseriscono. Dunque la politica nazionale e continentale deve osare di più, molto di più. È una questione di civiltà, a tutela dei diritti umani fondamentali di tanti nostri fratelli e sorelle; è una questione di umanità, perché non possiamo continuare a chiuderci in una fortezza indifferente alle sofferenze di milioni, se non miliardi di esseri umani; è una questione di futuro per le nostre società, chiamate ad affrontare in modo pragmatico ma anche razionalmente generoso, e possibilmente vantaggioso per tutti, le grandi sfide migratorie, demografiche e culturali che la contemporaneità ci pone inesorabilmente di fronte»