Oratori chiusi, Messe sospese, bambini a casa da scuola e da tutte le attività sportive e culturali. Sono in tanti a chiedersi se le misure massicce adottate dalla Regione Lombardia e dalla Diocesi di Milano non siano eccessive, tanto più che alcuni esperti paragonano il Coronavirus Covid-19 a poco più che un’influenza stagionale. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e presidente nazionale Anpas.
Dott. Pregliasco, che differenza c’è tra Coronavirus Covid-19 e influenza stagionale, in termini di mortalità?
Quest’anno su 5 milioni e 600 mila casi di contagiati per influenza stagionale ci sono stati 164 casi gravi e 33 decessi per polmonite primaria. A questi dobbiamo stimare di aggiungere dai 4000 a 6000 casi di complicanze cardiache e respiratorie. Nell’insieme, la mortalità dell’influenza rimane piuttosto bassa, intorno allo 0,1%. Sappiamo invece che il Coronavirus nell’80% dei casi dà forme lievi o passa addirittura asintomatico, nel 15% dà luogo a polmoniti, nel 5% a forme gravi. Il tasso di mortalità arriva fino al 4% in Cina, fuori dalla Cina è intorno allo 0,7%.
In effetti si tratta di percentuali non così diverse da quelle dell’influenza. Ma allora perché il Coronavirus ci fa così paura?
Anzitutto perché è nuovo e dobbiamo conoscerne ancora l’evoluzione. E poi perché, data la sua altissima trasmissibilità, è potenzialmente in grado di contagiare un numero altissimo di persone contemporaneamente. Se non facciamo nulla potremmo arrivare a situazioni pesanti: se dovesse ammalarsi nello stesso momento il 20% della popolazione, diventerebbe drammatica la gestione sanitaria dei casi gravi, ma, banalmente, anche l’assistenza domestica dei casi meno gravi. Ma soprattutto verrebbero a mancare medici, infermieri, poliziotti, netturbini, insomma gli addetti ai servizi essenziali. Sarebbe la paralisi della vita sociale.
Quindi le misure prese dalla Regione Lombardia e dalla Diocesi sono ragionevoli?
Sono essenziali. Svanita l’illusione che queste misure possano mantenere il contagio circoscritto ad alcuni focolai, resta importantissima la loro azione di mitigamento. Se non si riesce a spegnere l’incendio, possiamo almeno mitigarlo, cioè diluire nel tempo l’insorgenza dei casi per dare tempo e modo al Sistema sanitario di farvi fronte.
Eppure molti le considerano eccessive, per il danno economico che producono, o incoerenti: a cosa serve chiudere le scuole, ma mantenere in funzione i mezzi pubblici? Oppure chiudere i pub dalle 18, ma tenere aperti i ristoranti?
Certo, le scelte sono sempre discrezionali e solo vivendo scopriremo i risultati di queste iniziative. Ogni misura ha effetti positivi e negativi, bisogna trovare un equilibrio tra l’efficacia di un provvedimento e la necessità che non stravolga la vita di una comunità, creando danni più pesanti della stessa malattia. Ma sappiamo che se riduciamo, in qualsiasi modo, i contatti tra le persone, c’è un risultato statisticamente rilevante. L’evoluzione è ancora da comprendere, il virus potrebbe modificarsi, in bene o in male. A oggi, in assenza di farmaci e vaccino, non abbiamo altro che queste misure di contenimento.
Ci ha disorientato la querelle sui social tra Maria Rita Gismondo del Sacco, che parla di emergenza eccessiva, e il noto virologo Roberto Burioni, che le risponde dandole dell’irresponsabile e sottolineando il ritardo con cui si sarebbero mosse le Istituzioni. Come possono esserci visioni così divergenti tra esperti?
Entrambi hanno ragione, da prospettive diverse. Come dice Gismondo, è vero che dal punto di vista del singolo si tratta di una malattia nella maggioranza dei casi banale. Burioni, invece, in una prospettiva più epidemiologica, sottolinea la potenziale gravità del virus e la sua diffusività, invitando giustamente le Istituzioni a mantenere alta la guardia.
Perché l’Italia è il Paese europeo più colpito?
Non lo sappiamo ancora. Intanto bisogna vedere se non succederà la stessa cosa anche in altri Paesi del continente. Può anche essere stata solo sfortuna: possiamo aver avuto, per puro caso, una maggior presenza nel nostro Paese, fin dall’inizio dell’epidemia, di soggetti con sintomatologia non eclatante. Poi, allo scoppio del caso clamoroso, il trentottenne di Codogno, tramite i test abbiamo scoperto a ritroso tutti gli altri casi. Codogno è la punta di un iceberg che dobbiamo ancora esplorare.
Perché i bambini sono meno colpiti dal Coronavirus?
All’inizio non si sono riscontrati casi pediatrici; in seguito, facendo indagini si è visto che qualche bambino infettato c’è, ma senza mortalità e con sintomatologie lieve. Bisogna dire che, in generale, si tratta di un virus con variazioni molto ampie nella sintomatologia.
Cosa è utile veramente fare per difendersi?
È giusto aver fiducia nelle Istituzioni, si può discutere sulle singole scelte, ma alla fine bisogna attenersi alle indicazioni. Il cittadino, da solo, può fare poche semplici cose: prima di tutto lavarsi frequentemente le mani con acqua e sapone, sfregando attentamente, per almeno per 20 secondi. Non toccarsi occhi, naso e bocca, soprattutto dopo il contatto con oggetti che possono essere contaminati, come le maniglie delle porte. Fare attenzione, in generale, agli oggetti che maneggiamo: anche se il Coronavirus, poco dopo la sua emissione, perde molta della sua carica virale, meglio igienizzare spesso le superfici. Evitare luoghi affollati, specie se caldo-umidi, come mezzi pubblici e cinema. Insomma, tutte le cose che noi virologi raccomandiamo ogni anno per contrastare la diffusione dell’influenza.
Cosa invece non serve?
Le mascherine chirurgiche sono utili solo al malato e a chi lo assiste. Servono poco per i sani, anche perché perdono molta della loro efficacia dopo qualche ora di utilizzo. Il gel disinfettante per le mani è utile solo se non c’è la possibilità di lavarsi con acqua e sapone.