Fino al 12 dicembre gli Emirati Arabi ospitano la COP28 a Dubai, riunendo i leader dei governi, della società civile, dell’industria e della finanza in un momento fondamentale per valutare per la prima volta i progressi del mondo sull’Accordo di Parigi. In uno scenario in cui gli scienziati hanno dichiarato il 2023 come l’anno più caldo mai registrato, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici acquista una particolare rilevanza. Ne parliamo con Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord.
Quali sono le premesse e le aspettative?
La COP28, più delle precedenti, rischia di essere una Conferenza sul clima decisiva per il futuro del pianeta. Dopo una crisi pandemica devastante e una sconvolgente crisi bellica che hanno distratto l’opinione pubblica dalla crisi climatica, con una crescita esponenziale dei costi energetici per famiglia e imprese, nonostante gli eventi estremi siano sempre più intensi e frequenti, oggi siamo a metà strada tra la COP21 di Parigi e il 2030, ossia il periodo entro il quale dovremmo ridurre di almeno il 55% le emissioni climalteranti per mantenere sotto i due gradi di aumento rispetto all’era preindustriale l’aumento della temperatura media globale. Secondo i più recenti studi dell’Ipcc e dell’Unep, invece, già tra poco più di un anno potremmo superare la soglia minima di sicurezza del grado e mezzo ed entro la fine del secolo potremmo misurare una temperatura media globale più calda di quasi 3°C, in ragione della perdurante egemonia economica e politica esercitata dai combustibili fossili. Gli Emirati Arabi ospitanti sono tra i principali produttori di petrolio e questo non dovrebbe lasciare tranquilli sul successo del vertice internazionale, ma quasi nessuna COP ha un esito già scritto, per la complessità e difficoltà dei negoziati. Dalla prossima Conferenza, tuttavia, ci si aspetta, oltre la retorica tra phase out e phase down (abbandono o riduzione delle fonti fossili), sia che gli Stati partecipanti aumentino i propri target di riduzione delle emissioni e di diffusione delle rinnovabili, enucleando i risultati conseguiti dalla COP21 di Parigi; sia che diano slancio al multilateralismo e alla cooperazione per sbloccare il fondo Loss & Damage da 100 miliardi di dollari all’anno a favore delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.
Nelle precedenti Conferenze sul clima, gli Stati partecipanti hanno convenuto di limitare il riscaldamento globale. Questi obiettivi sono stati raggiunti? Se no, perché?
Gli interessi economici e finanziari delle multinazionali fossili sono durissimi da scardinare e lo sono anche perché la comunità internazionale è frammentata, priva di una visione condivisa e in assenza di leadership politiche carismatiche che sappiano trasmettere l’urgenza della conversione ecologica e coinvolgere unanimemente gli investitori privati e gli attivisti sociali. Nonostante i progressi compiuti sulla decarbonizzazione e sulla finanza climatica, forse ancora modesti, oggi continuiamo ad avere in atmosfera la più alta concentrazione nella storia di anidride carbonica, a cui dobbiamo aggiungere il gas che negli ultimi anni ha costituito, per Stati Uniti e Unione europea, il principale vettore energetico in sostituzione del petrolio e del carbone. La transizione, dunque, non solo procede troppo lentamente, con risorse nazionalmente insufficienti, ma appare anche troppo faticosa e talvolta incomprensibile ai tanti che dovrebbero realizzarla nel quotidiano.
Il clima mondiale è sempre stato storicamente soggetto a cambiamento. Perché oggi questo argomento è diventato così problematico?
Perché per migliaia di anni il cambiamento climatico ha avuto un andamento naturale periodico, tra picchi e discese. Da quasi 80 anni, invece, le emissioni climalteranti hanno avuto una crescita esponenziale con percentuali mai raggiunte prima nelle città, ossia in quelle polarità spaziali in cui sono concentrate le principali attività industriali, commerciali e relazionali dell’uomo. Il pianeta non si inquina da solo, siamo noi che inquiniamo e devastiamo il pianeta. Oggi, dunque, bisogna parlare di cambiamento climatico di origine antropica e se vogliamo salvare il pianeta è necessario rieducare noi stessi al rispetto della fragilità degli ecosistemi, trasformando radicalmente e urgentemente il nostro modus vivendi quotidiano.
Il cambiamento climatico porta con sé anche una questione di diritti umani lesi visto che ne sono colpite maggiormente le popolazioni più vulnerabile e, al tempo stesso, meno responsabili dei disastri ambientali a cui stiamo assistendo negli ultimi anni?
Sì. È il tema dei temi, come dice anche il Papa: senza giustizia sociale scordiamoci la giustizia ambientale. Oggi le popolazioni più fragili e vulnerabili sono quelle più colpite dagli eventi estremi dai cambiamenti climatici, di cui sono responsabili, però, per meno del 3-4%, con Stati Uniti, Europa, Cina e India che concorrono, invece, per almeno l’80% per la quantità di emissioni prodotte. Dalle pressioni degli Stati africani nasce il meccanismo perequativo Loss & Damage perché con le risorse messe a disposizione dai Paesi più ricchi possano essere intraprese tutte le necessarie politiche di mitigazione e di adattamento. Se questo dispositivo finanziario dovesse fallire, nei prossimi 15-20 anni potremmo conteggiare fino a 140 milioni di migranti climatici, con inedite e ulteriori tensioni geopolitiche.
Gli Emirati Arabi Uniti, che ospitano COP28, sono tra i maggiori produttori di combustibili fossili. È un ostacolo ai lavori della Conferenza?
Potrebbe esserlo, ma il recente accordo tra Stati Uniti e Cina, come il protagonismo annunciato dall’Unione europea, potrebbero cambiare le carte in tavola. Ribadisco: non ci sono COP dall’esito scontato, perché durante i negoziati, a cui partecipano una pluralità di attori pubblici e privati dagli interessi non sempre convergenti, entrano in gioco numerosissimi elementi che possono cambiare la storia degli eventi. Bisognerà avere pazienza e confidare nella coscienza dei leader, chiamati a dare risposte autorevoli e reali alle giovani generazioni che non meritano di vivere su un pianeta sbriciolato dalle fiamme dell’avidità degli adulti.
Quali sono le decisioni che potrebbero essere prese nella COP a Dubai e che sono indispensabili per invertire la rotta?
L’Agenzia internazionale dell’energia, pochi giorni fa, lo ha ribadito: bisogna almeno triplicare le fonti rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico, nel giro di un decennio, nell’urgenza di chiudere definitivamente la stagione dei combustibili fossili, non trascurando il contributo che può essere offerto dai sistemi di accumulo e dalle tecnologie digitali per incrementare l’efficienza e la sicurezza. Di conseguenza, se quanto indicato da anni dagli organismi internazionali come l’Agenzia appena richiamata o l’Ipcc fosse messo nero su bianco, rilanciando le ambizioni della Conferenza di Parigi del 2015 secondo un cronoprogramma condiviso globalmente di azioni di mitigazione e adattamento da realizzare a velocità crescente, la COP28 sarà ricordata positivamente.