Cosa fare (ancora) per contrastare i numeri sempre crescenti del gioco d’azzardo? La domanda non è nuova, se si pensa alla miriade di regolamenti comunali, alle leggi regionali e dello Stato messi in campo negli ultimi anni. I numeri, però, mostrano una realtà del gioco e delle relative dipendenze solo scalfita dalle campagne e dalle azioni di prevenzione e cura messe in campo in questi anni.
«Sono potenzialmente 20 mila le persone che, solo a Milano, potrebbero essere prese in carico dai servizi sanitari per la dipendenza da gioco d’azzardo», ma dai Sert (i servizi delle aziende sanitarie locali per le tossicodipendenze, che prendono in cura anche le patologie legate all’azzardo) «negli ultimi dieci anni sono passate solo mille persone», ha ricordato Riccardo Gatti, direttore del dipartimento Dipendenze dell’azienda sanitaria di Milano, alla terza edizione degli Stati generali contro il gioco d’azzardo, svoltasi ieri nel capoluogo lombardo; circa 1100 sono state, fino allo scorso settembre, le chiamate alla linea telefonica No Slot del Comune di Milano, avviata nel 2015 e gestita dal Ceas, il Centro Ambrosiano di Solidarietà. «Se solo i numeri delle prese in carico raddoppiassero, non avremmo comunque le risorse necessarie per l’assistenza», ha denunciato sempre Gatti. Perché, proprio come accade nel gioco, una serie di piccole vittorie sul fronte della prevenzione rischiano di nascondere una più generale sconfitta, ovvero che le forme di azzardo disponibili, e soprattutto i canali di pubblicità verso i potenziali giocatori, sono sempre un passo avanti rispetto a chi si occupa di prevenzione e cura.
Per questo le richieste che l’Associazione dei Comuni (Anci) e la Rete nazionale “Mettiamoci in gioco” hanno avanzato a Milano ai politici che saranno al governo a Roma e in Lombardia dopo le elezioni del 4 marzo sono quanto mai necessarie. Questi i quattro punti della campagna: divieto di pubblicità del gioco su tutti i media e in tutti i luoghi pubblici; riduzione di almeno un terzo dell’offerta complessiva di gioco; la possibilità per Regioni ed Enti locali di regolamentare in modo autonomo l’apertura e gli orari dei luoghi del gioco d’azzardo; l’aumento delle risorse destinate alla cura della dipendenza da gioco.
Non mancano i risultati raggiunti e i segni di un impegno che negli ultimi anni è sempre più diffuso: nel 2017 la presa in carico della dipendenza da gioco è stata inserita nei Livelli essenziali di assistenza del servizio sanitario nazionale; la Regione Lombardia si è dotata già nel 2013 di una legge che regolamenta il settore, mentre l’accordo tra Stato e Regioni raggiunto lo scorso settembre prevede la riduzione del 34% (142 mila su 400 mila) delle slot machine installate entro aprile 2018, insieme all’obbligo, su quelle esistenti, di “identificarsi” attraverso la tessera sanitaria prima di iniziare a giocare. Provvedimenti che non hanno però contribuito a diminuire il “volume” dell’offerta di gioco.
Per questo anche don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità e in questa sede rappresentante della campagna Mettiamoci in gioco, ha voluto rilanciare la necessità del contrasto all’azzardo, che potrebbe partire subito dalle «campagne sui mezzi pubblici» e dal «divieto di pubblicità delle vincite», che vediamo invece in ogni bar “fortunato”. Un impegno che – ha ricordato don Colmegna – anche al di là della prossima scadenza elettorale, «deve essere culturale ed etico, di formazione delle coscienze».