«Il momento difficilissimo che il nostro Paese sta vivendo non deve farci dimenticare che non molto lontano da noi è in corso una vera tragedia umanitaria, di fronte alla quale, come Casa della carità, non possiamo tacere: in Siria, piegata da 9 anni di guerra, e in particolare nella città di Idlib, i bombardamenti e gli attacchi contro la popolazione civile continuano senza sosta, arrivando a colpire persino le scuole. Migliaia di persone sono in fuga dal Paese e premono alle porte d’Europa, in Grecia, dove la polizia sta respingendo i profughi in arrivo dal confine turco con una violenza inaudita. Sull’isola di Lesbo la situazione è drammatica: il campo profughi di Moria, attrezzato per accogliere 3 mila persone, ne ospita 20 mila, costrette a vivere in condizioni disumane, con migliaia di bambini abbandonati a se stessi, tra i quali non sono rari atti di autolesionismo e tentativi di suicidio».
Questa la “fotografia” della situazione che si sta verificando in Grecia secondo la Casa della Carità, che denuncia: «Siamo di fronte a una pesantissima lacerazione dei diritti umani, le cui responsabilità ricadono sulla politica europea, che in questi anni è stata incapace di difendere il diritto all’asilo di migliaia di persone in fuga dalla guerra e di promuovere una politica dell’immigrazione seria ed efficace».
«Davanti a una tragedia di tali proporzioni non è possibile cedere al silenzio della rassegnazione o ancor peggio dell’indifferenza. Bisogna agire, subito», sostiene Casa della carità, che è su queste posizioni fin dal 2014, «quando le porte del nostro auditorium si sono aperte a decine di profughi siriani» e lo ribadisce oggi, «unendosi alle voci di tante altre organizzazioni umanitarie: diventa sempre più urgente porre fine all’accordo con la Turchia ed evacuare i campi profughi delle isole greche, attraverso un piano di ricollocamento europeo».
«Occorre mettere in campo un sistema di protezione umanitaria a livello europeo, che permetta ai siriani in fuga di trovare un’accoglienza sicura e dignitosa – sottolinea la Fondazione guidata da don Virginio Colmegna -. Questo lo dobbiamo fare innanzitutto per senso di umanità e poi per coerenza nei confronti dei principi fondativi stessi dell’Unione Europea che, nata all’indomani della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto per promuovere una politica di pace e solidarietà tra i popoli, oggi sembra avere smarrito quei valori di civiltà sui quali è fondata».
«In un momento in cui l’attenzione per la cura della salute collettiva è massima, dobbiamo ricordare che tutte le vite hanno valore – rileva lo stesso Colmegna -. Per quanto mi riguarda, questa tragedia mi interroga anche come credente, come ci ha richiamato a fare papa Francesco. Questo venerdì, il primo di Quaresima nella liturgia ambrosiana, è un giorno di digiuno; questa via crucis credo quindi debba essere vissuta pensando a questa eucarestia vivente, fatta di corpi lacerati e abbandonati».