Un augurio a nome suo personale e dell’intera Chiesa ambrosiana. È quello che l’Arcivescovo, in occasione del Capodanno ebraico Rosh ha shanah 5785, ha inviato al rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib, a cui è poi stato consegnato il testo (leggi qui). Dal significato di questa breve missiva il vicario episcopale monsignor Luca Bressan, presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, avvia la sua riflessione, «in un momento in cui – spiega – anche gli ebrei devoti, religiosi, che pregano, si sentono vittime di un mistero del male che li avvolge e non aiuta a vedere Dio che guida la storia».
Infatti monsignor Delpini scrive: «La situazione che stiamo vivendo domanda una partecipazione ancora più intensa». Ovvio il riferimento al momento drammatico di conflitto. Come tanti cristiani che vivono e soffrono oggi nella terra del Signore, nella Chiesa Madre, possono porsi come elemento di pacificazione?
All’interno di una situazione che ormai è fatta solo di violenza e di logiche primitive che hanno spento anche la ragione, i credenti in Cristo possono introdurre elementi che siano in grado di accendere di nuovo la ragione e, quindi, di aprire strade al dialogo. Per esempio, ponendo in primo piano il riferimento a Dio, condividendo questo riferimento e ricordando che tutti saremo giudicati da lui e che tutto ciò che abbiamo in questo momento è dono di Dio. In questa logica, mi piace ricordare che il rabbino capo Arbib continuerà il dialogo con la nostra Chiesa durante il Giubileo, riflettendo sul legame tra giubileo e terra, secondo la tradizione ebraica, e quindi richiamando anche il concetto dell’esilio, dell’allontanamento del popolo ebraico da quella terra che il Signore ha donato – e che dice la sua identità – appunto a motivo dell’incapacità di riconoscere il proprio legame indissolubile con Dio.
Ricordare questo aspetto, condivisibile da diverse fedi, potrebbe essere un buon punto di partenza per ricominciare a dialogare…
Senza dubbio. Se tutti avessimo come principio Dio, questo legame e la sua custodia, potremmo davvero introdurre logiche diverse da quelle che, attualmente, vedono all’opera solo la violenza.
Una profonda tradizione di amicizia tra la Chiesa ambrosiana e la comunità ebraica e tanti eventi condivisi negli anni – come la recente visita congiunta dell’Arcivescovo e del Rabbino al Memoriale della Shoah – possono indicare una via diversa, specialmente alle giovani generazioni?
La custodia della memoria è fondamentale: far vedere che, se smettiamo di maturare nella nostra libertà, il rischio è che effettivamente la violenza prenda sempre più piede, come si vede bene nella cronaca di questi giorni. Per questo motivo l’Arcivescovo chiude il suo messaggio rassicurando il Rabbino capo che la Diocesi di Milano metterà tutte le sue energie per contrastare i rigurgiti di violenza e di odio.
Ovviamente, il riferimento è all’antisemitismo che sta risorgendo un po’ dovunque…
Esatto: è ciò che vogliamo contrastare perché è sicuramente un passo indietro che abbruttisce tutti.
Aprendo la seconda seconda sessione del Sinodo, il Papa ha fatto riferimento ai cammini di pace e ha indetto proprio per il 7 ottobre, a un anno esatto dagli attentati portati in terra di Israele, una giornata di digiuno e di preghiera. Tra le intenzioni di preghiera vi è anche un significativo richiamo ai governanti: è rimasto solo il Papa a chiedere la pace?
In questi giorni ricordiamo una figura come San Francesco di Assisi, che deve davvero essere il nostro ispiratore: lui è stato un protagonista della pace, basti pensare al suo incontro con i musulmani.
Da Milano, che si dice spesso sia un’oasi felice di dialogo ecumenico e interreligioso, può partire un’idea di pace condivisa con qualche gesto che potrebbe essere pensato nella nostra Chiesa?
Sicuramente. Stiamo lavorando proprio per immaginare gesti di pace e il Giubileo, da questo punto di vista, ci aiuterà a comprendere che l’unico futuro per il mondo è la pace.