«La malavita organizzata – la possiamo chiamare mafia, camorra, stidda – non è una criminalità comune ma è un’organizzazione feroce e, al tempo stesso, una forma di ateismo che si colora di tinte neopagane e di blasfeme citazioni cristiane». Lo ha detto il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, stamani, in occasione della presentazione del docu-film sulla vita di Rosario Livatino, nella sede del Consiglio superiore della Magistratura, a Roma.
Ricordando le parole dei Pontefici sulle organizzazioni malavitose, da Papa Wojtyla ad Agrigento nel ’93 a Papa Francesco a Sibari nel 2014, il Cardinale ha ribadito che «la malavita è inequivocabilmente fonte di morte: morte della società, morte del territorio, morte dell’anima delle persone. Le organizzazioni criminali per realizzare i loro progetti creano un clima di paura che sfrutta la miseria e la disoccupazione, la disperazione sociale e l’assenza della certezza del diritto. Proprio per questo è assolutamente necessaria la presenza dello Stato».
Una presenza che il presidente della Cei reputa debba essere «forte, autorevole e soprattutto educativa. Come quella di Rosario Livatino». Dalle sue parole traspare il profilo di un «appassionato difensore della legalità e della libertà di questo Paese. Un autentico rappresentante delle istituzioni che è riuscito a incarnare la certezza del diritto e anche la cultura morale dell’Italia profonda: di quell’Italia che non si arrende alle ingiustizie e alle prevaricazioni, e che non cede agli ignavi e a coloro che si adeguano allo status quo: anche quando lo status quo è rappresentato dalla mafia». Dunque, il cardinale lo considera «un gigante della verità», «un uomo che ha incarnato il Vangelo delle Beatitudini perché egli aveva “fame e sete di giustizia”».
Infine, la sua eredità: «Con la mafia non si convive! Fra la mafia e il Vangelo non può esserci alcuna convivenza o tantomeno connivenza. Non può esserci alcun contatto né alcun deprecabile inchino».