Fallimenti di istituti di credito ritenuti (erroneamente) solidi con successivi “salvataggi” da parte di entità finanziarie che si impossessano dell’intera proprietà; obbligazionisti che rischiano di perdere tutto o quasi il loro investimento a seguito dell’applicazione del “bail-in” europeo per quanto riguarda i titoli “subordinati”; azionisti di importanti banche (venete e non solo) che si vedono azzerare il loro investimento e la banca viene acquistata a costo irrisorio dal “fondo salva banche” che di fatto espropria i precedenti proprietari. E poi un aumento della conflittualità tra le stesse banche e i clienti che a volte si sentono turlupinati, come nel caso recente del calo dei tassi sui mutui, fino al livello negativo per il tasso Euribor, che essendo sceso sotto lo “zero”, dovrebbe vedere automaticamente scalare il costo del mutuo. E invece non avviene. Ma cosa sta succedendo alle banche italiane, un tempo ritenute l’ideale della “solidità” e oggi invece guardate con sospetto, come fossero un castello di carta che sta per crollare?
Il tema è vasto e complesso, ma per semplicità basterà citare un dato: il Ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, pochi giorni fa, mentre annunciava con soddisfazione l’avvio dell’operatività del Fondo Atlante per i salvataggi bancari e dell’operatività della procedura di rimborso parziale degli obbligazionisti, ammetteva che i 330 mila dipendenti bancari attuali sono troppi, stante la crisi, e che dovevano scendere entro breve a 300 mila e forse anche qualcosa in meno. Le banche dunque sono in crisi, per vari motivi: perché oberate di crediti inesigibili (oltre 200 miliardi), perché schiacciate dalla concorrenza degli sportelli on-line per cui la clientela si sta spostando velocemente dalla banca sotto casa a quella virtuale. Ma sono in crisi anche perché, oltre all’economia che langue, con il calo dei rendimenti dei titoli di Stato, scesi a zero o addirittura sotto-zero, il loro guadagno si assottiglia sempre di più e così non riescono a remunerare il capitale e – peggio ancora – a sostenere il peso dei dipendenti: insomma, si deve licenziare. Siamo di fronte a una specie di catastrofe finanziaria e lavorativa, che neanche la robusta iniezione di denaro da parte della Bce guidata da Mario Draghi riesce, al momento, ad arginare.
Ed ecco allora casi come quello, piccolo in sé ma significativo di un malessere profondo, dei mutui a tasso variabile sui quali certe banche cercano di “fare la cresta”, non restituendo ai sottoscrittori i minori costi derivanti dal calo del tasso Euribor. Un lettore un po’ distratto e superficiale potrebbe considerare questo “trucchetto” poca cosa, ma per chi deve pagare una rata di mutuo e non si vede applicare la riduzione spettante può diventare non solo una beffa ma anche un danno monetario di un certo peso. Il meccanismo è il seguente: se un cliente ha sottoscritto un contratto di mutuo a tasso variabile, poniamo dieci anni fa (aprile 2006) quando l’Euribor era al 2,83% oltre a uno spread poniamo del 2%, il costo del suo mutuo in quella fase iniziale era di un tasso globale del 4,83%. Ma oggi che lo stesso Euribor 3 mesi è sceso al tasso negativo di -0,25%, quel cliente avrebbe diritto a pagare un costo finale del 2% (spread) meno lo 0,25% dell’Euribor, e quindi solo l’1,75%. Su 100 mila euro di mutuo (cifra tonda per far capire le proporzioni) il primo anno si erano pagati 4.830 euro di costo, oggi se ne dovrebbero versare 1.750: a patto che la banca non si opponga alla riduzione o non la occulti; a quel punto il costo annuo sarebbe di 2.000 o più euro, impedendo al cliente il risparmio di almeno 250 se non più euro. Da qui la controversia e l’intervento della Banca d’Italia.
Come avviene da parte di un genitore nei confronti dei figli più discoli, la Banca d’Italia, di fronte al crescere delle proteste e segnalazioni di clienti che non si vedevano ridurre il costo del mutuo da parte di alcune banche, ha dovuto fare una ammonizione formale. Nelle scorse settimane è uscita una nota, in tutto una paginetta che si può trovare sul sito internet www.bancaditalia.it nella sezione “comunicazioni”, con la quale ha ammonito gli istituti a non applicare una soglia quando i relativi contratti di mutuo non la prevedono.
Tecnicamente si chiama “floor clause” (clausola pavimento, cioè tasso di base) e nei contratti in cui è contenuta si dice che, alla discesa dei tassi, comunque non si andrà mai sotto un certo livello, che di solito è quello dello spread applicato dalla banca.
Le banche colte in flagrante si sono difese dicendo che non era una volontà di truffare i clienti ma il calcolo delle rate di mutuo è fatto dai programmi informatici, che non contemplano il “tasso negativo” e così si fermavano a livello zero senza scendere sotto di esso. Banca d’Italia ha invitato, a questo punto, a rivedere tutti i rapporti contestati e a restituire, nel caso, quanto dovuto alla clientela. I clienti, pertanto, dovranno rileggersi attentamente il proprio contratto e se non c’è la clausola del “floor”, allora possono legittimamente reclamare quanto dovuto. Per farlo avranno varie strade. La più diretta e fiduciosa è di rivolgersi al direttore della filiale dove hanno fatto il contratto. Ma se la cosa non sortisce effetti, allora bisogna passare a reclami con raccomandata e ricevuta di ritorno, allegando la nota della Banca d’Italia. Meglio sarebbe essere assistiti o da un legale (ma potrebbe costare molto) oppure da una associazione dei consumatori. La nota va mandata alla propria banca, alla Banca d’Italia e all’Abf (Arbitro bancario finanziario), noto anche come “ombudsman bancario” che funge da conciliatore di controversie.
Tra tante notizie negative di crisi, disoccupazione, crediti “incagliati” e case che vanno all’asta perché i clienti non ce la fanno a pagare il mutuo, qualche piccola nota in parte positiva. Anzitutto il nuovo regolamento che prevede una clausola facoltativa per i futuri contratti di mutuo. In sostanza, chi non pagasse per 18 mesi di fila la propria rata vedrebbe la banca autorizzata a vendere l’immobile, senza passare dall’asta presso il tribunale. Ci sono i “pro” e i “contro”, ma fino ad oggi, se non si saldavano tre-quattro rate si entrava subito nell’elenco dei “cattivi pagatori” ed erano guai: non si aveva più credito da nessun altro istituto. Così invece, alla peggio la casa va in vendita dopo un anno e mezzo e la questione è chiusa, senza ripercussioni legali ulteriori, salvo che il vecchio proprietario a quel punto dovrà trovarsi un’altra casa, magari più piccola. L’altra buona notizia è indubbiamente quella che, con il calo dei tassi in Europa, non è mai stato così conveniente come oggi comprare casa: si spuntano tassi vicini all’1,5-1,3% se variabile e attorno al 2,5% se fissi. Una manna rispetto a pochi anni fa quando i mutui costavano anche il 5-6-7%. Molti clienti oggi rinegoziano questi vecchi mutui molto cari (surroga) e spuntano 2-3 punti in meno. Sui soliti 100 mila di mutuo significa 2-3 mila euro in meno l’anno. E non è davvero poco!