«Sono fiducioso che ci possa essere ancora un dialogo con il Governo. Mi rifiuto di credere che sia serio da parte della politica agire in maniera emotiva, senza entrare nel merito delle questioni. Mi auguro si tratti soltanto di annunci. L’azzeramento del Fondo per il pluralismo non toccherà i grandi giornali, ma quelli piccoli. È più facile fare la battaglia parlando di taglio all’editoria, ma in realtà verranno tagliati soltanto i giornali del territorio»: così don Adriano Bianchi, direttore della Voce del Popolo di Brescia e presidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), all’indomani della conferma pubblica da parte di Vito Crimi, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’informazione e all’editoria, che durante la festa del Movimento 5 Stelle al Circo Massimo ha ribadito che «con la prossima legge di bilancio partirà la progressiva abolizione del finanziamento pubblico a giornali».
Qual è la situazione dei settimanali diocesani?
Parliamo di circa 180 testate con caratteristiche, storie e dimensioni diverse. Ci sono giornali che hanno la consistenza di aziende editoriali, e sono quelli che in questi anni hanno ricevuto i contributi da parte dello Stato. Per adeguarsi alla legge sulla riforma dell’editoria queste testate si sono attrezzate con l’assunzione di giornalisti a tempo indeterminato e strutture adeguate. Altre, soprattutto al centro e al sud, fanno invece più affidamento sul volontariato pur mantenendo l’ispirazione dei valori cattolici al servizio del territorio.
Chi soffrirà maggiormente l’annunciato azzeramento dei contributi?
L’impatto sarebbe gravissimo. Le realtà editoriali più grandi e storicamente radicate, subirebbero un danno molto serio. Come Fisc abbiamo seguito un percorso di trasparenza per ricevere i contributi, con una rendicontazione estremamente precisa e una trasformazione a livello aziendale secondo i parametri previsti dalla legge. Lo scorso anno abbiamo chiuso anche un accordo con l’Fnsi che estende alcune tutele del contratto Aeranti-Corallo anche ai giornalisti delle realtà diocesane. La legge ci ha spinto in questa direzione. La mancanza del sostegno, in un contesto di crisi della carta stampata, impatterà in maniera importante. Molte realtà non sopravvivranno.
Anche i settimanali diocesani stanno risentendo della crisi dell’editoria?
Certamente, anche se forse meno rispetto alle grandi testate. I giornali del territorio raccontano le cose del territorio che altri non dicono. La crisi della carta stampata la si avverte, ma in misura ridotta. Inoltre, quasi tutti i nostri settimanali hanno una presenza online e sui social network. Stanno vivendo la trasformazione anche dal punto di vista della digitalizzazione. L’erosione sulla carta è innegabile, anche se meno evidente. Le difficoltà economiche ci sono soprattutto dove le realtà editoriali hanno una certa consistenza. La sopravvivenza dei giornali è però sulle spalle della carta stampata, che è ancora l’unica fonte di reddito grazie alla pubblicità e alle copie vendute. L’online non offre risorse sufficienti per mantenere una informazione di qualità.
Perché andrebbero tutelate queste realtà editoriali?
Il Fondo per il pluralismo garantisce che nel Paese ci siano voci diverse, anche quelle che esprimono i territori, le minoranze, le realtà più piccole. Fonti di informazione veramente legate ai cittadini, che raccontano quell’Italia che le persone vivono quotidianamente.
Eppure il disegno del Governo sembra chiaro…
Si è scatenata una tempesta. Capisco la necessità politica di esprimere una posizione che rispecchi il programma elettorale, ma mi auguro che nel merito della questione ci sia buon senso ed equità al fine di non disperdere un patrimonio del genere. Può essere legittimo che si abbia una idea differente rispetto al Governo precedente, ma non si aprano le porte a un impoverimento del dibattito e del pluralismo nel Paese.