Non sarà facile per Mario Draghi la guida della Banca centrale europea (Bce), che ora si trova «nel periodo di maggiore tensione di tutta la sua storia». Eppure, proprio dalle difficoltà potrebbe derivare una maggiore stabilità dell’Ue. Ne è convinta Simona Beretta, docente di Politiche economiche internazionali all’Università Cattolica di Milano, interpellata a proposito della nomina dell’attuale governatore di Bankitalia alla presidenza della Bce. Draghi, 63 anni, il 1° novembre succederà al francese Jean-Claude Trichet e resterà in carica fino al 31 ottobre 2019.
Qual è il ruolo del presidente della Banca centrale europea?
Il presidente ha una funzione particolarmente rilevante dal punto di vista politico: riferisce al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri dell’Ue a proposito delle decisioni di politica monetaria e sullo stato di salute economica dell’Unione. Non è solo un tecnico, ma una persona che dev’essere capace di rendere ragione delle proprie decisioni, prese assolutamente in autonomia.
La nomina di Draghi alla presidenza della Bce cosa significa per l’Italia?
Sono convinta che le istituzioni assumano il valore delle persone che vi lavorano. Non c’è dubbio che Draghi è italiano, come pure che ha maturato una grande esperienza nel nostro Paese, con ruoli sia di carattere fiscale, sia monetario, contribuendo al riordino del Tesoro dopo anni faticosi. Sicuramente questa nomina è il riconoscimento del valore di una persona, come pure di una tradizione solida di banchieri centrali italiani che hanno fatto bene il loro dovere, inserita in una più vasta tradizione di banchieri centrali europei capaci di lavorare insieme. Draghi è la dimostrazione che nel nostro Paese ci sono professionalità di altissimo livello, capaci di stare nell’agone internazionale con una visione, delle idealità, degli obiettivi.
Quali sfide ora si trova davanti?
La Bce è nel periodo di maggiore tensione di tutta la sua storia, perché vede messo sotto scacco quel disegno un po’ particolare della struttura macroeconomica dell’Ue, con una sola moneta ma tanti Stati e altrettante politiche fiscali sovrane. Questa contraddizione avrebbe dovuto essere composta con il patto di stabilità e crescita, che non è mai stato del tutto rispettato. Abbiamo avuto decenni in cui è stato fatto il passo più lungo della gamba e ora ci ritroviamo a un punto di crisi, dove le politiche fiscali di un piccolo Paese bastano per mettere in difficoltà la tenuta di un sistema nel suo complesso. Questa è la situazione in cui si trova Draghi: la credibilità dell’Ue ha bisogno di essere ripristinata.
Come fare?
Penso che nessuno lo sappia con certezza. Bisogna navigare a vista, con buone ragioni e coraggio d’innovare, senza essere esageratamente attaccati alle forme o al passato. Mi preoccupa, piuttosto, come oggi sia difficile individuare quelle idealità che erano all’origine del progetto di unificazione europea. Se siamo rimasti una realtà di cooperazione economica senza un ideale più grande, capace di far sopportare i costi che talora emergono, rischiamo di non aver più ragioni per tenere insieme l’Ue.
Da qui il rischio d’implosione?
I rischi ci sono sempre. Ma, guardando il bilancio del processo di unificazione monetaria, sono convinta che i benefici portati siano tanti e stiamo imparando a mettere in comune alcune prerogative nazionali. La contraddizione di un potere monetario in mano a un soggetto europeo, con il potere di vigilanza e di adottare rimedi a situazioni d’instabilità finanziaria in capo ai governi e alle istituzioni nazionali, è scoppiata con la crisi del 2007-2008, portando a un primo tentativo di mettere in comune la politica finanziaria. Ora la sfida della Grecia e di altri Paesi con problemi di debito ha generato una nuova crisi che potrebbe portarci, seppure con difficoltà e approssimazioni, a questa condivisione della sovranità di carattere fiscale.
Quindi la crisi greca potrebbe rivelarsi provvidenziale per l’evoluzione dell’Ue?
Ci muoviamo – seppur con passi incerti – verso l’unica configurazione stabile, dove non solo la moneta è unica, ma anche il sistema della finanza pubblica. D’altra parte la storia dell’Ue è fatta di soluzioni temporanee in una direzione ben precisa, che è la condivisione della sovranità in determinati campi. Questo almeno è avvenuto in passato; oggi bisogna nuovamente decidere se proseguire su questa strada. Questa decisione, però, non spetta alla Bce; essa potrà intervenire con una mediazione tecnica, ma anche politica.
Ci sono delle priorità che il nuovo presidente della Bce dovrà tenere presenti?
La priorità è trovare vie informali che permettano di ottenere per consenso ciò che non si è avuto con i trattati. E cioè una maggiore condivisione della responsabilità di vigilanza fiscale e finanziaria, in modo da evitare non solo un eccessivo indebitamento pubblico, ma pure un eccessivo indebitamento delle banche private e delle famiglie. Bisogna che i comportamenti quotidiani siano guidati con mano salda verso una complessiva coerenza, in modo da perseguire una sopravvivenza che, oggi, significa far fiorire quell’intuizione originaria sulla quale l’Unione europea è nata.