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Afghanistan

Altri due morti nel contingente militare italiano

17 Maggio 2010

Sono il sergente Massimiliano Ramadù, 33 anni, di Velletri (Roma), e il caporalmaggiore Luigi Pascazio, 25 anni, della provincia di Bari, le ultime due vittime del contingente italiano di stanza in Afghanistan nell’ambito della missione Isaf. A uccidere, il 17 maggio, è stato, secondo le ricostruzioni, un ordigno ad alto potenziale, posto lungo la strada, che è esploso al passaggio del blindato italiano, un Lince, nel quale si trovavano i militari. Nello scoppio sono rimasti feriti gravemente agli arti inferiori, ma non corrono pericoli di vita, altri due soldati, la caporale Cristina Buonacucina, originaria di Foligno, e il caporal maggiore Gianfranco Scirè, 28 anni, di Casteldaccia, un comune in provincia di Palermo. Tutti e quattro facevano parte del 32° reggimento Genio “Taurinense”. Il blindato italiano faceva parte di un convoglio composto da decine di automezzi di diverse nazionalità, con oltre 400 soldati, partito da Herat e diretto a Bala Murghab, più a Nord, per un trasferimento operativo. Sono il sergente Massimiliano Ramadù, 33 anni, di Velletri (Roma), e il caporalmaggiore Luigi Pascazio, 25 anni, della provincia di Bari, le ultime due vittime del contingente italiano di stanza in Afghanistan nell’ambito della missione Isaf. A uccidere, il 17 maggio, è stato, secondo le ricostruzioni, un ordigno ad alto potenziale, posto lungo la strada, che è esploso al passaggio del blindato italiano, un Lince, nel quale si trovavano i militari. Nello scoppio sono rimasti feriti gravemente agli arti inferiori, ma non corrono pericoli di vita, altri due soldati, la caporale Cristina Buonacucina, originaria di Foligno, e il caporal maggiore Gianfranco Scirè, 28 anni, di Casteldaccia, un comune in provincia di Palermo. Tutti e quattro facevano parte del 32° reggimento Genio “Taurinense”. Il blindato italiano faceva parte di un convoglio composto da decine di automezzi di diverse nazionalità, con oltre 400 soldati, partito da Herat e diretto a Bala Murghab, più a Nord, per un trasferimento operativo. Una coscienza di bene «Vicinanza e preghiera» per le vittime, i feriti e le loro famiglie, ma anche l’importanza di proseguire nelle missioni internazionali “per garantire la sicurezza e la pace dei popoli». Così mons. Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, ha commentato al Sir la morte dei due soldati italiani, e il ferimento di altri due. «Fatti del genere sono umanamente duri da accettare, e segnano ancora di sangue la storia della nostra nazione – ha dichiarato l’arcivescovo castrense che nello stesso giorno ha tenuto all’Istituto alti studi per la difesa (Iasd) un intervento su “Etica del militare tra fede e dovere” -. Come famiglia militare viviamo una grande sofferenza interiore e preghiamo Dio perché possa darci consolazione in questo momento ma anche la forza di continuare a donarci. La pace è un bene di tutti e indivisibile. Solo restando uniti la si potrà raggiungere, accrescerla e custodirla, anche in vista di un futuro sereno dell’umanità. E questo i nostri militari, che sono a servizio della loro nazione e della sicurezza vari popoli, lo credono fermamente. Essi sentono forte questa solidarietà nel bene e per il bene. I nostri militi sono esempi di gratuità di vita».«Il militare ha l’etica del dono, del dono sincero di sé – ha aggiunto monsignor Pelvi – e questo è il senso più vero delle missioni internazionali per la sicurezza e la pace tra i popoli. La famiglia militare sente di essere annuncio ed anche costruttrice di un’unica grande famiglia umana che partecipa del bene della dignità della persona. È il suo stile di vita. La nostra nazione non sarà capace di futuro se dissolve questo principio di fraternità che è tipico dei nostri soldati che mettono la loro vita al servizio di persone e popoli in difficoltà. Il principio di gratuità – ha concluso – può essere, quindi, linfa per un cammino di pace. Il soldato ha una coscienza di bene e sente che, grazie anche alla fede, nel suo cuore, c’è una legge scritta quella di amare il prossimo». Italiani in Afghanistan Attualmente in Afghanistan, nell’ambito della missione Isaf, operano poco più di 3000 soldati italiani, altri mille sono attesi per il prossimo mese di giugno. Per il 2011 è previsto l’inizio della fase di disimpegno delle truppe che dovrebbe concludersi entro il 2013. La maggior parte del contingente italiano opera a Herat, nell’ovest del Paese, mentre la restante a Kabul. Dal 20 aprile scorso al comando della zona Ovest è il generale Claudio Berto, comandante della brigata alpina Taurinense. Tutta questa zona, grande pressappoco come il nord Italia, comprende 4 province, Herat, Baghdis, Ghowr e Farah. Insieme alla Taurinense operano anche reparti della Marina, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della Finanza. Complessivamente, sotto il comando italiano agiscono 6 mila uomini di 11 nazioni. Con i due uccisi il 17 maggio sale a 25 il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall’inizio della missione, nel 2004. Di questi la maggioranza è rimasta vittima di attentati, altri invece sono morti in incidenti, alcuni per malore. Dall’inizio del 2009 sono 200 i soldati Nato che hanno perso la vita. Nel 2009 furono 520.