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Medio Oriente

Quei sacerdoti respinti da Gaza

Tre preti italiani bloccati al Valico di Eretz mentre tentavano di entrare nella Striscia per celebrare messa con il parroco locale

Silvio MENGOTTO Redazione

17 Marzo 2009

Bloccati dalle autorità israeliane al Valico di Eretz, al confine tra Israele e la Striscia di Gaza. È quanto è accaduto a don Nandino Capovilla, don Mario Cornioli e don Walter Fiocchi, tre sacerdoti italiani che, in base alla richiesta presentata dal Patriarcato Latino di Gerusalemme, intendevano entrare a Gaza per incontrare il parroco, padre Manuel Musallam, e con lui celebrare la messa domenicale dell’8 marzo.
I tre sacerdoti non sono stati i soli a essere respinti: con loro anche funzionari svizzeri della Croce Rossa Internazionale, medici svedesi che seguono un progetto per la salute mentale dei bambini e in passato il Relatore speciale dell’Onu Falk, il Nunzio Apostolico e “Medici senza frontiere”. Per tutti la stessa spiegazione: ragioni di sicurezza. Un sacerdote di Ramallah dice: «La sicurezza è la prima religione in Terra santa: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam vengono subito dopo».
Per don Walter Fiocchi «le quattro ore del nostro attendere invano a Eretz non sono comunque nulla rispetto all’attesa di decenni di un milione e mezzo di persone per i rifornimenti sufficenti a sopravvivere a un embargo che continua ancora intatto dopo il massacro di Natale».
Proprio don Walter ha inviato alcuni pensieri che pubblichiamo insieme alla parte finale del comunicato firmato congiuntamente dai tre sacerdoti l’8 marzo a Betlemme. «Tutti fuori. Non c’è niente da vedere nella Striscia devastata da venti giorni di feroce assalto dal cielo, dalla terra e dal mare. E noi ingenui a pretendere la motivazione del rifiuto: a ogni cambio di guardia continuavamo a domandare se fosse arrivato il permesso, ma la risposta era sempre uguale. La sicurezza. Ecco il motivo per cui oggi non possiamo entrare a Gaza… Per motivi di sicurezza oggi tre preti italiani non possono andare a celebrare la Messa nella parrocchia di Gaza. In effetti, la preghiera può essere davvero pericolosa, perché Dio non ha mai sopportato i soprusi dei violenti e l’arroganza degli oppressori, e “ha rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili”… Solo la voce calda e tristissima del parroco di Gaza ci benedice da quel suo cellulare che durante l’assedio di Natale inviava ogni giorno ai suoi parrocchiani disperati un versetto del Vangelo via sms: “La comunità cristiana di Gaza è triste oggi – ci dice abouna Manawel – perché avevamo preparato per voi una grande festa. Vi aspettavamo per celebrare l’Eucarestia in comunione con le Chiese in Italia e per un bel pranzo, ma non ci rassegniamo all’ennesima prova. Continuiamo a sperare in Dio!”..».
I tre sacerdoti concludono: «Non abbiamo fatto e non vogliamo fare polemiche: volevamo solo celebrare l’Eucaristia e questa non si presta a polemiche; del resto bastano i fatti noti e quelli che pian piano emergono… Ci chiediamo solo quale pericolo rappresentiamo per la sicurezza di Israele. Ci siamo presentati al valico di Eretz armati solo della nostra testa, dei nostri occhi, della nostra capacità di parola; sono forse queste le armi pericolose per Israele? O le visite che portano incoraggiamento e speranza agli abitanti di Gaza? Forse sì, forse la speranza sostiene la volontà di resistere e conferma nella convinzione che la libertà non è un optional, ma è costitutiva della persona umana che deve difenderla e ritrovarla quando l’ha persa».

Approfondimenti: Comece, che cosa può fare l’Europa? Bloccati dalle autorità israeliane al Valico di Eretz, al confine tra Israele e la Striscia di Gaza. È quanto è accaduto a don Nandino Capovilla, don Mario Cornioli e don Walter Fiocchi, tre sacerdoti italiani che, in base alla richiesta presentata dal Patriarcato Latino di Gerusalemme, intendevano entrare a Gaza per incontrare il parroco, padre Manuel Musallam, e con lui celebrare la messa domenicale dell’8 marzo.I tre sacerdoti non sono stati i soli a essere respinti: con loro anche funzionari svizzeri della Croce Rossa Internazionale, medici svedesi che seguono un progetto per la salute mentale dei bambini e in passato il Relatore speciale dell’Onu Falk, il Nunzio Apostolico e “Medici senza frontiere”. Per tutti la stessa spiegazione: ragioni di sicurezza. Un sacerdote di Ramallah dice: «La sicurezza è la prima religione in Terra santa: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam vengono subito dopo».Per don Walter Fiocchi «le quattro ore del nostro attendere invano a Eretz non sono comunque nulla rispetto all’attesa di decenni di un milione e mezzo di persone per i rifornimenti sufficenti a sopravvivere a un embargo che continua ancora intatto dopo il massacro di Natale».Proprio don Walter ha inviato alcuni pensieri che pubblichiamo insieme alla parte finale del comunicato firmato congiuntamente dai tre sacerdoti l’8 marzo a Betlemme. «Tutti fuori. Non c’è niente da vedere nella Striscia devastata da venti giorni di feroce assalto dal cielo, dalla terra e dal mare. E noi ingenui a pretendere la motivazione del rifiuto: a ogni cambio di guardia continuavamo a domandare se fosse arrivato il permesso, ma la risposta era sempre uguale. La sicurezza. Ecco il motivo per cui oggi non possiamo entrare a Gaza… Per motivi di sicurezza oggi tre preti italiani non possono andare a celebrare la Messa nella parrocchia di Gaza. In effetti, la preghiera può essere davvero pericolosa, perché Dio non ha mai sopportato i soprusi dei violenti e l’arroganza degli oppressori, e “ha rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili”… Solo la voce calda e tristissima del parroco di Gaza ci benedice da quel suo cellulare che durante l’assedio di Natale inviava ogni giorno ai suoi parrocchiani disperati un versetto del Vangelo via sms: “La comunità cristiana di Gaza è triste oggi – ci dice abouna Manawel – perché avevamo preparato per voi una grande festa. Vi aspettavamo per celebrare l’Eucarestia in comunione con le Chiese in Italia e per un bel pranzo, ma non ci rassegniamo all’ennesima prova. Continuiamo a sperare in Dio!”..». I tre sacerdoti concludono: «Non abbiamo fatto e non vogliamo fare polemiche: volevamo solo celebrare l’Eucaristia e questa non si presta a polemiche; del resto bastano i fatti noti e quelli che pian piano emergono… Ci chiediamo solo quale pericolo rappresentiamo per la sicurezza di Israele. Ci siamo presentati al valico di Eretz armati solo della nostra testa, dei nostri occhi, della nostra capacità di parola; sono forse queste le armi pericolose per Israele? O le visite che portano incoraggiamento e speranza agli abitanti di Gaza? Forse sì, forse la speranza sostiene la volontà di resistere e conferma nella convinzione che la libertà non è un optional, ma è costitutiva della persona umana che deve difenderla e ritrovarla quando l’ha persa».Approfondimenti: Comece, che cosa può fare l’Europa?