14/03/2008
di Antonio AIRÒ
Presentate le liste e definite le candidature, a un mese dalle elezioni impazzano i sondaggi. Li sventolano i leader dei due maggiori partiti, Silvio Berlusconi e Walter Veltroni, ognuno evidentemente sicuro delle percentuali che ha in mano. Li agitano speranzosi Pier Ferdinando Casini, Fausto Bertinotti e Storace. E poi ci sono gli altri aspiranti presidenti del Consiglio, che debbono innanzitutto superare la soglia di sbarramento del 4% (8% al Senato) se vogliono essere presenti in Parlamento.
Con l’indicazione dei candidati sono finite anche le conferme e le polemiche. La più significativa viene da Romano Prodi, che ha annunciato il suo ritiro dalla politica italiana. Una scelta inevitabile dopo la fine del suo governo. Ci sarà modo di ritornare sul suo ruolo e sul suo impegno per far uscire il Paese dalle sue difficoltà con una politica economica e sociale capace di riequilibrare le tante distorsioni della nostra società. Vale la pena intanto rilevare come la sua scelta intenda favorire un ricambio della nostra classe dirigente.
Non ci soffermiamo più di tanto sull’inserimento del «fascista» Ciarrapico (come si definisce lui stesso) nelle liste del Pdl, sulla candidatura nell’Udc dell’ex presidente della Sicilia Cuffaro (condannato a cinque anni in primo grado) e sulla presenza di alcuni esponenti radicali (ma non Pannella) nelle liste del Pd.
Scelte discutibili e in qualche caso inaccettabili. Purtroppo ciò è dovuto a un sistema elettorale che costringe i cittadini a “turarsi il naso” e a votare quasi a scatola chiusa (le liste sono bloccate) la coalizione meno lontana, oppure a ricorrere al voto disgiunto tra Camera e Senato. Ma gli elettori devono ricordare anche che chi ottiene un voto in più rispetto ai concorrenti conquista il premio di maggioranza nei seggi a Montecitorio e forse anche a Palazzo Madama.
Il susseguirsi dei sondaggi rischia di far passare in secondo piano i programmi. Gli ultimi dati indicano che le difficoltà del nostro Paese si sono aggravate e che l’Italia potrebbe andare incontro a un pesante declino, con una crescita vicina allo 0. E intanto i salari non riescono a soddisfare le esigenze dei cittadini; aumenta la povertà e la pressione fiscale diventa sempre più insostenibile. Come hanno ricordato i vescovi, sono questi i problemi che le forze politiche dovranno affrontare con urgenza e con intelligenza dopo il voto.
Non sarà facile per gli elettori discernere convergenze e divergenze, valutare le diverse soluzioni e non fermarsi agli slogan. Ma dopo il 13 aprile, se ci sarà una chiara indicazione dei cittadini, non servirà una grande coalizione. Chi vince deve governare e chi perde deve stare all’opposizione, anche se ciò non significa tornare alla contrapposizione frontale (e anche personale) che ha segnato l’ultimo decennio del nostro sistema politico.
Diventa importante allora in questa situazione la capacità di discernimento dei cattolici, chiamati a scegliere tra le diverse suggestioni e proposte e tra i diversi candidati. Non esiste più un partito di riferimento al quale potevano rivolgersi un tempo. Non serve rimpiangere un passato pure prezioso e determinante per la crescita del Paese. Ma vale sempre il richiamo dei vescovi, nel susseguirsi delle consultazioni, sul «votare e votare bene». Non è una responsabilità da poco per i cattolici italiani. Ci auguriamo ne siano consapevoli.