La rappresentazione prevalente dell’Italia è quella di un Paese che se la passa ancora bene.
Ma il recente rapporto della Fondazione Zancan parla di quasi 10 milioni di persone sotto o appena sopra
la soglia statistica. Il vero problema è che il resto della popolazione ignora o misconosce il problema
14/01/2008
di Giampiero MORET
Direttore de L’Azione di Vittorio Veneto
Insomma, andiamo bene o andiamo male in Italia? Dai mezzi di informazione abbiamo informazioni contraddittorie. Da una parte si segnala la preoccupante impennata dei prezzi e si denuncia che i salari del nostro Paese sono tra i più bassi d’Europa e che le famiglie non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese. Dall’altra, si favoleggia di pranzi e cenoni opulenti nei recenti giorni festivi, si sbandierano proposte di vacanze da sogno, si mostrano negozi zeppi di gente e stazioni sciistiche a pieno ritmo.
La rappresentazione prevalente è quella di un Paese che se la passa ancora bene. Una conferma arriva dal sondaggio pubblicato dall’Osservatorio Nordest. Si domandava ai cittadini del Nordest quali aspettative avessero riguardo al proprio tenore di vita per il 2008 e il 59,1% rispondeva che il proprio tenore di vita non sarebbe peggiorato rispetto all’anno precedente, il 13,2% che certamente sarebbe migliorato e solo il 27,7% che sarebbe peggiorato. Non mi pare che siano risposte che svelano uno stato d’animo di generale preoccupazione per il futuro prossimo.
Se vogliamo avere una rappresentazione veritiera sulla reale situazione del benessere in Italia dobbiamo guardare agli studi più approfonditi. Uno di questi è certamente il rapporto sulla povertà in Italia della Fondazione Zancan di Padova, che si basa sui dati Istat e su quelli dei centri di ascolto della Caritas. Esiste la povertà in Italia? La risposta è certamente affermativa: c’è una povertà preoccupante e in crescita, di fronte alla quale si fa troppo poco.
Per povertà si intende la povertà “relativa”, cioè confrontata con lo stato di benessere del Paese: per definirla si parte dalla spesa media mensile pro capite esistente nel Paese in un dato periodo e si stabilisce che se una famiglia composta da due persone uguaglia o è al di sotto di quella cifra si trova in stato di povertà relativa. Secondo l’Istat, nel 2005 tale cifra era di 936 euro. E quanto più la famiglia è numerosa e, soprattutto, se ha a suo carico qualche anziano o ammalato, anche se il reddito aumenta in proporzione, la situazione di povertà si aggrava.
Partendo da questo presupposto si è calcolato che in quell’anno le famiglie povere erano 2.623.000, comprendenti 7.537.000 persone, pari al 13% della popolazione. A ciò si devono aggiungere quelle famiglie che sono appena al di sopra della soglia della povertà, in quanto hanno un reddito superiore di 10 o 50 euro. Sono altre 900 mila, circa 2.700.000 persone.
Questa povertà non è certamente paragonabile a quella esistente nei Paesi poveri del Sud del mondo: con oltre 900 euro al mese da noi non si muore di fame. Ma certamente si conduce una vita grama, con molti sacrifici, con molte umiliazioni e con l’impossibilità di far fronte a necessità inderogabili, come pagare l’affitto o il mutuo o le bollette. Inoltre ci si sente cittadini frustrati, emarginati, impotenti, con poca voglia di partecipare alla vita sociale.
Il citato rapporto è intitolato Rassegnarsi alla povertà?. Credo che nell’opinione pubblica c’è qualcosa di peggio della rassegnazione: l’ignoranza. Al di fuori dei quasi 10 milioni di persone che vivono sulla propria pelle questa povertà, il resto degli italiani pensa che tutto sommato da noi non esiste vera povertà. Ci sono mugugni perché non ci si può permettere tutti gli sfizi, lamentele perché i prezzi aumentano e bisogna fare qualche sacrificio in più. Se c’è qualche caso di vera povertà la gente si fa subito in quattro e si provvede, soprattutto nei nostri paesi.
Questo si pensa e si dice, ma non è vero. La povertà esiste anche nei nostri paesi, sebbene il più delle volte non si veda. Le nostre comunità cristiane, le nostre Caritas parrocchiali, dovrebbero attrezzarsi meglio, anche con l’aiuto di questi strumenti di ricerca, per sollevare il velo su questa realtà e trovare vie più efficaci per combatterla.