01/08/2008
di Stefano VECCHIA
La modernità, la vibrante vivacità di una Nazione millenaria che si vede proiettata in un futuro di benessere presente ancora per pochi, ma che tecnologicamente è già oggi… Questo è ciò che la Cina intende mostrare e questo è quanto vedranno gli spettatori dei Giochi.
Dal 2001 la scadenza olimpica ha fatto di Pechino e dell’intera Cina un immenso cantiere che lascerà in eredità post-olimpica una serie di infrastrutture costate l’equivalente di 30 miliardi di euro. Le Olimpiadi hanno sollecitato un’accelerazione della Cina post-comunista nella corsa al progresso e nella competizione con il resto del mondo; tuttavia, nulla può essere scontato in questo grande Paese che risponde ancora oggi soprattutto agli equilibri interni al Partito comunista.
Già ora molti dubitano che l’apertura necessaria al raggiungimento degli obiettivi olimpici abbia o possa avere una contropartita sul piano dei diritti umani e delle libertà civili. Con buona pace degli ideali che, a meno di non volere ignorare i fatti, hanno ormai poca presa davanti ai numeri del colosso cinese, alla sua penetrazione nei Paesi in via di sviluppo e alla sua aggressività sui mercati internazionali.
La Cina ha diritto di veto in sede di Consiglio di Sicurezza Onu e lo ha usato senza scrupoli per sostenere la giunta del Myanmar, la dittatura della Corea del Nord e il regime di Mugabe in Zimbabwe, per garantire i propri interessi economici e le proprie scelte strategiche.
A questo proposito varrebbe forse la pena ricordare che, in vista della scelta della sede delle Olimpiadi 2008 e vista la candidatura di Pechino a sede olimpica, il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione che chiedeva un impegno della dirigenza cinese al miglioramento dei diritti umani. Pechino accettò il principio – vincendo le sue Olimpiadi con una potente campagna pubblicitaria e con sfumate dichiarazioni di principio -, ma non ha cambiato la sostanza.
Oggi Pechino e la Cina presentano un volto moderno, intraprendente e ricco di influssi occidentali, che bastano a tranquillizzare il visitatore occasionale o lo sportivo distratto, ma che resta profondamente cinese e socialista. E ingiusto, sia verso i contadini e minatori che dalla povertà stanno passando alla disperazione dell’emigrazione, sia verso le sue minoranze, sia, ancora, verso i dissidenti. Che in compenso faticano a trovare visibilità al di là delle opportunità propagandistiche.
La Cina di oggi non è più quella che un tempo doveva guardarsi dal contagio dei “mali” dell’Occidente. Sul piano dell’ordine pubblico, della criminalità e della morale, l’evoluzione del Paese l’ha portata a riconoscere un numero crescenti di mali interni – dallo sfruttamento dei minori alla prostituzione, dalla corruzione alla tratta di esseri umani -, oggetto di periodiche campagne repressive.
Tuttavia sono difficili da controllare, in parallelo con lo sviluppo frenetico dell’economia e il divario tra le varie regioni e i diversi gruppi di popolazione. E’ la ricchezza: veloce, all’apparenza facile e spesso egoista, il problema maggiore della Cina d’oggi. Un Paese di estremi che il Partito comunista riesce ancora a saldare con un mix calibrato di promesse di benessere, libertà di arricchirsi e di repressione.
Le Olimpiadi di Pechino – comunque e anzitutto grande momento di sport – saranno insieme un traguardo, un banco di prova e un punto di avvio. Diciannove anni fa gli eventi di piazza Tiananmen chiusero nella violenza e nella repressione una primavera ideologica mai maturata in una stagione di riforme. Dall’8 agosto la Cina avrà 17 giorni di tempo per indicare al mondo quale sarà il suo volto futuro e delineare il futuro della sua democrazia.