04/07/2008
di Rita SALERNO
Una manifestazione per protestare contro l’avvio del rilevamento delle impronte digitali dei bambini nei campi nomadi di Roma. Ad attuare questa forma di dissenso con lo slogan “Diamoci la mano, non le impronte” sarà la Comunità di S. Egidio che l’ha annunciata per bocca del suo presidente, Marco Impagliazzo, nel corso di una conferenza stampa.
Secondo S. Egidio l’operazione-impronte nasconde un intento discriminatorio, perché vuole schedare i nomadi in base all’appartenenza religiosa. «Nell’Italia e nell’Europa del ventunesimo secolo possiamo identificare una persona sulla base dell’etnìa o della religione?», è la provocatoria domanda avanzata da Impagliazzo.
A suffragare la tesi del presidente della Comunità, la scheda d‘identificazione utilizzata la scorsa settimana in un campo napoletano, che si presenta con due aree da riempire: quella dell’etnìa e quella della religione. «Noi sappiamo che la guerra nell’ex Jugoslavia è scoppiata solo dopo le identificazioni etniche, cioè dopo che era stato stabilito chi erano i serbi, chi i bosniaci e la provenienza degli altri».
Non solo. «Nella Francia occupata il regime di Vichy si serviva di “una carta antropometrica d’identità”, sorta di documento identificativo dei nomadi molto simile alla scheda utilizzata dal “commissario delegato per l’emergenza insediamenti comunità nomadi nella Regione Campania”». Rispetto al francese (che non conteneva riferimenti alla religione), il documento segnala sia l’etnia (“rom di serbia”), sia la religione (“ortodosso”), oltre alle dieci impronte digitali, la foto e la dicitura “nomade”.
«Visto che il 50% degli zingari è italiano, il 20% europeo e solo il 30% proviene dall’ex Jugoslavia e dall’esterno dell’Unione Europea – ha detto Mario Marazziti, portavoce di S. Egidio -, significa che ci sono italiani ed europei identificati per etnìa e religione». Una vicenda che Marazziti sceglie di non commentare, preferendo che siano i magistrati a esprimersi in merito.
Ma su un punto quelli di S. Egidio sono certi: l’ordinanza sulle impronte digitali dei bambini rom è confusa e sbagliata, oltre che discriminatoria. Per Marazziti, infatti, non rispetta i regolamenti europei: stando alla direttiva n. 43/2000, «sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga».
In proposito il portavoce della Comunità esprime la forte preoccupazione dell’organismo cattolico. Che sta valutando la possibilità di fare ricorso alla via giudiziaria contro l’iniziativa del Viminale: «I soggetti destinatari dell’ordinanza ministeriale sono individuati su base etnica – sostiene -: i rom e i sinti, adulti o minori, presenti nei campi nomadi, diversi per cittadinanza, unificati solo dall’appartenenza a un gruppo di connotazione etnica».
Per uscire dal nodo delle impronte digitali, secondo S. Egidio basterebbe ricorrere al buon senso e formulare proposte serie, senza perdere di vista il principio della responsabilità individuale.
La questione rom e sinti non si affronta come un’emergenza. Fatto che la Comunità contesta sia al Governo attuale, sia ai precedenti. Perché manca una cultura dell’integrazione, a partire dall’inserimento scolastico. Quanto allo sfruttamento dei minori, secondo Impagliazzo, si deve far ricorso agli strumenti ordinari: il Tribunale dei minori, i Servizi sociali e i dirigenti scolastici.