13/11/2008
di Riccardo MORO
Uscire di scena con grazia non è sempre facile, e naturalmente non è una questione estetica, ma etica. È questa la preoccupazione che nasce guardando al lunghissimo passaggio di consegne che si è avviato negli Stati Uniti dopo l’elezione di Obama.
I due mesi previsti dalla legge tra l’elezione e l’insediamento, senza che siano ridotti i poteri del presidente uscente, sono un tempo che poteva essere adatto in tempi passati. Oggi è un’eternità. Non per nulla spesso questo periodo è stato usato dal presidente uscente per forzare decisioni non condivise. Terminata la paura dell’impopolarità, gli uscenti hanno firmato nomine e decreti presidenziali senza passare dal Parlamento.
Il presidente in carica George W.Bush ha annunciato di avere allo studio una serie di provvedimenti che intenderebbe approvare entro gennaio, prima cioè dell’insediamento del suo successore. Il neo-eletto Obama ha fatto sapere che il suo staff è già al lavoro per monitorare tutte le azioni dell’amministrazione in queste settimane, pronto a invalidare, se necessario, le decisioni più controverse.
Se Bush non ha ormai più nulla da dimostrare alla cronaca, Obama affronta in questa vicenda una prima prova in cui dimostrare la sua consistenza politica nel ruolo di “comandante in capo”. Dalle voci che circolano a Washington sembra che l’attuale amministrazione abbia l’intenzione di decretare su materie particolarmente sensibili alle divisioni, come quelle che toccano le tematiche bioetiche.
Annullare le decisioni di Bush in un clima di conflitto ideologico sarà un’occasione mancata. Annullarle per rinviare al Congresso quelle politicamente più delicate, ribadendo la centralità del Parlamento e la necessità di un percorso democraticamente trasparente, inclusivo e consensuale, sarà un atto di sapienza politica che potrà consolidare consenso intorno a Obama oltre l’entusiasmo elettorale. Governare per decreti, imposti o fatti decadere, non ha mai fatto crescere nessuna comunità nazionale.
La questione della successione si misurerà anche nel vertice del G20 previsto per il 15 novembre. La settimana scorsa i ministri finanziari del G20 si sono incontrati a San Paolo in Brasile e hanno convenuto la necessità di coordinare gli sforzi per contenere la crisi finanziaria. In effetti non si può attendere due mesi che Obama si insedi per occuparsi della situazione. È evidente però che un vertice guidato da un Bush che dopo un mese e mezzo non avrà più alcun potere difficilmente prenderà decisioni significative.
Il G20 è il consesso di cui fa parte la Cina e negli ultimi anni, proprio per questo, si sta trasformando da occasione poco più che turistica a tavolo di interessanti intese sperimentali. Se i due presidenti Usa riusciranno a trovare la forma per coordinare la posizione, il vertice potrà portare qualche frutto, altrimenti sarà una passerella inutile, se non controproducente.
Ogni uscita di scena è difficile. Alcuni osservatori temono che l’uscita dell’amministrazione Bush si riveli destabilizzante. Speriamo che non sia così. Ci piacerebbe veder servire, una volta tanto, l’interesse generale. Con un po’ di sobrietà.