28/02/2008
di Roberto CUDA
«Mi sono arruolato nell’esercito per far fronte alle difficoltà economiche e avere diritto ai sussidi per la casa, la scuola e la sanità. Mi hanno detto che avremmo contribuito a liberare popoli oppressi, ma presto ho capito che la realtà era molto diversa. Era una guerra per il controllo delle risorse petrolifere e noi eravamo gli oppressori. Così ho deciso di disertare». A parlare è Russell Hoitt, ex specialista radio della brigata d’assalto Usa in Iraq, che dall’aprile 2007 ha lasciato l’esercito e ora è impegnato attivamente contro la guerra.
Come lui hanno fatto altri seimila soldati statunitensi dall’inizio delle operazioni in Afghanistan e Iraq, in alcuni casi ottenendo il congedo e in altri affrontando il processo e il carcere. Del significato dell’obiezione di coscienza oggi si è parlato in un convegno organizzato dal Centro Pace di Bolzano e da Pax Christi. Molte le testimonianze dirette di obiettori e di organizzazioni che danno supporto ai disertori, come la Dmfk tedesca – sostenuta dalla Chiesa mennonita – e l’associazione promossa dal Comitato Vicenza Est, nata dall’opposizione alla base Usa al Dal Molin. Sullo sfondo la figura di Franz Jägerstätter, contadino tedesco che disse no a Hitler, il cui ricordo ha aperto il convegno.
Nell’era della “guerra infinita” l’esempio di Hoitt apre una strada concreta al rifiuto della guerra anche per chi ha scelto professionalmente l’esercito. Il fenomeno va ben oltre i confini americani. Una realtà che interpella anche il nostro Paese, dopo la fine della leva obbligatoria. «La legge sull’obiezione di coscienza è stata una conquista – sottolinea Mao Valpiana, direttore di Azione Nonviolenta -, resa possibile anche dalle decine di obiettori finiti in carcere. Poi c’è stata la campagna sull’obiezione fiscale alle spese militari e ora dobbiamo puntare sui corpi civili di pace, per i quali esiste già una proposta di legge. I temi dell’antimilitarismo e del superamento degli eserciti sono ancora attuali».
In altri contesti la coscienza invita a obiettare a un sistema mafioso e ingiusto, come spiega don Luigi Ciotti, presidente di Libera. «Ma questo ci spinge anche a dire molti “sì”, per esempio ai valori della Costituzione: libertà, giustizia e democrazia, dovunque vengano calpestati. La lotta alla mafia non è altro che il rispetto della giustizia. Dire “sì” alla pace oggi significa sostenere i diritti, la legalità, l’accoglienza e il rispetto dell’ambiente».
Poi c’è il tema delle spese militari, aumentate anche nell’ultima Finanziaria. «Per noi è stata una sconfitta – dice Lidia Menapace, senatrice e figura storica del pacifismo italiano -, anche se la spesa militare è parte integrante di accordi commerciali tra Stati ed è difficile scindere i due aspetti. Quanto alle missioni italiane all’estero, dobbiamo distinguere i diversi contesti. La presenza in Afghanistan è stata gestita male, consentendo l’alleanza nefasta tra coltivatori di oppio e talebani».
Ad ampliare il significato dell’obiezione è Alex Zanotelli, missionario comboniano: «La prima obiezione è a questo sistema economico-finanziario, che produce 60 milioni di morti per fame all’anno . La politica è succube dell’economia e non ci resta che organizzarci dal basso. Le armi sono solo un mezzo per difendere i privilegi: oggi abbiamo un arsenale nucleare capace di distruggere sei volte il pianeta. Dobbiamo tornare a fare obiezione fiscale, dire no all’aumento delle spese militari, ma anche alla firma dello scudo antimissile americano. Poi serve un’obiezione ecologica, per impedire la devastazione dell’ecosistema. A partire da chi si dice credente: non ho mai sentito in confessionale un peccato contro l’ambiente».