14/11/2008
I Patti educativi di comunità rappresentano un modo concreto per attuare la proposta avanzata dal cardinale Tettamanzi. Così la Chiesa è in prima linea per collaborare con le istituzioni e il territorio, con le scuole e le famiglie per dare risposte ai crescenti bisogni educativi dei ragazzi. Ne parliamo con don Michele Di Tolve, responsabile del Servizio Irc e Pastorale scolastica della diocesi.
Nel Percorso pastorale il Cardinale dice che solo l’alleanza educativa tra genitori, insegnanti, parrocchia e territorio può far uscire la scuola dalla crisi…
L’Arcivescovo è convinto giustamente che gli adulti devono dare un’impostazione educativa. Se però la scuola dà indicazioni ai ragazzi di cui la famiglia non è informata o non approva; oppure se la famiglia ne dà altre per le quali la scuola o il territorio (associazione sportiva o i centri di aggregazione giovanile) dicono il contrario, i ragazzi cadono nella più grande confusione. Solo l’unità tra gli adulti che educano permette ai ragazzi di avere indicazioni educative chiare.
I Patti si stanno diffondendo?
Tantissimo. Come per esempio a Cinisello, Legnano, Mariano Comense, Varese, i quartieri milanesi di Giambellino, San Siro, Quarto Oggiaro; a Cesano Boscone, a Tradate. In tutte le zone stanno lavorando perché deve nascere nel contesto del decanato e delle parrocchie con le scuole di riferimento. Il Cardinale lo voleva già l’anno scorso, poi il direttore generale della scuola con l’Osservatorio regionale sul bullismo lo ha fatto diventare una regola per le scuole. Sono due tipi di patti: il Patto educativo di comunità tra parrocchia, famiglia, territorio e scuola rende vero il Patto educativo di corresponsabilità, per cui non è la semplice sottoscrizione delle regole della scuola da parte dei genitori, ma diventa un rapporto di corresponsabilità tra genitori, ragazzi e professori.
Quale ruolo gioca la scuola cattolica: c’è collaborazione?
Certamente, in alcuni progetti addirittura lavorano insieme. Da parte dell’Ufficio di pastorale scolastica c’è il desiderio che si coinvolga totalmente in questa alleanza educativa con il territorio.
Qual è il compito dell’insegnante di religione?
Èun catalizzatore. Nell’ora di religione cattolica l’insegnante deve per forza interagire con tutte le discipline. Non c’è n’è una che non possa essere intercettata: così come è stata pensata in questi anni dalla Cei e dal Ministero permette l’unità dei saperi e chiede proprio che i docenti si parlino tra loro perché i ragazzi stessi hanno bisogno di capire in maniera più unitaria. Questo avviene anche tra scuola e territorio, perché l’insegnante di religione oltre a essere un docente a pieno titolo, contemporaneamente può farlo perché il suo Vescovo gli ha riconosciuto l’idoneità. È una persona della scuola, ma anche un credente che viene dalla comunità cristiana, perché lì trova il suo alimento spirituale.
Il mondo della scuola è in fermento. Cosa ne pensa?
Comprendiamo l’agitazione da parte di tutti: studenti, famiglie, scuole, istituzioni, mondo politico. In questo momento però i politici devono cercare di capire davvero che cosa ha bisogno non solo la scuola, ma la società civile, soprattutto i ragazzi per crescere da veri cittadini, perché il perno di tutto sono loro. (p.n.)