11/06/2008
di Cristina CONTI
Storie quotidiane di violenza tra ragazzi. Insulti, minacce, percosse troppo spesso taciuti per paura di ritorsioni ancora peggiori. Una realtà molto difficile, che si sta diffondendo tra gli adolescenti a macchia d’olio non solo nella periferia milanese, ma anche in centro. In ogni scuola di ordine e grado. Tra i ragazzi più poveri come tra quelli più benestanti.
«Non è un fenomeno recente: è iniziato almeno alla fine degli anni Novanta», spiega Simona Caravita, docente del Centro di ricerca delle tecnologie dell’istruzione dell’Università Cattolica di Milano e componente della Commissione nazionale sul bullismo voluta dal Ministero della Pubblica istruzione.
«L’elemento che oggi è più forte è sicuramente la violenza – continua -. Per gli adolescenti, poi, èaumentata l’importanza del gruppo, perché sono venuti meno i punti di riferimento valoriali. In questo contesto si strutturano dinamiche che possono favorire la nascita di problemi relazionali. È indubbio, d’altra parte, che anche la visione di film e di videogiochi troppo violenti può avere una parte importante nell’aumentare l’aggressività».
In passato genitori e insegnanti hanno cercato di contrastare la questione facendo finta di niente. Questo è un atteggiamento molto sbagliato, sia per i prevaricatori, sia per le vittime. Èimportante, invece, prendere coscienza del problema. Deve esserci una collaborazione tra scuola e famiglia. Le istituzioni educative devono saper definire principi comuni e progetti articolati di prevenzione, che prevedano il coinvolgimento delle famiglie.
Legami familiari molto deboli, dialogo scarso, insegnanti che fanno finta di niente. Queste le cause che stanno alla base del fenomeno che può andare dalle piccole devianze fino alla violenza. «Le famiglie non devono chiudere gli occhi. In nessun caso: sia che il figlio venga accusato di atti di bullismo, sia che li subisca – aggiunge Caravita -. Nel caso in cui un ragazzo sia vittima, è fondamentale aumentare l’autostima e restituirgli la fiducia in se stesso. È importante anche incrementare le amicizie a livello di coetanei: queste in particolare rivestono un ruolo protettivo verso ogni forma di prevaricazione. In ogni caso èbene mantenere un saldo e continuo rapporto con la scuola».
E gli oratori rivestono un ruolo fondamentale proprio per favorire questo clima di collaborazione. «Da alcuni anni, insieme all’area minori della Caritas, abbiamo attivato il percorso “Ho una difficoltà in oratorio”», dice don Massimiliano Sabbadini, direttore della Fom. Quattro incontri destinati agli educatori che si svolgono nel mese di gennaio e dedicati proprio al tema dei ragazzi difficili. Dopodiché le parrocchie che sono interessate propongono per un anno il percorso in oratorio. Ma per fortuna aderiscono in pochi.
«Il bullismo è sicuramente un fenomeno molto presente ovunque – aggiunge don Sabbadini -. Di certo, però, la catechesi e i rapporti che si creano in oratorio svolgono una forte azione preventiva. Le relazioni strette con la famiglia, la possibilità di capire in anticipo le situazioni a rischio svolgono sicuramente un ruolo importante. Come dico sempre, l’oratorio vive un po’ prima e un po’ oltre la realtà, perché anticipa le soluzioni».
A livello decanale, inoltre, la diocesi di Milano sta creando tavoli di lavoro ristretti che coinvolgono tutti gli attori dell’educazione: in primis preti e insegnanti di religione, a cui si aggiungono genitori, professori e società sportive. «Gli oratori avviano attività di doposcuola, oltre alle tipiche esperienze di villeggiatura in luglio e agosto – sottolinea don Michele Di Tolve, responsabile diocesano dell’Insegnamento della religione cattolica -. Perché se i giovani impegnano il loro tempo in modo costruttivo, è difficile che emergano atteggiamenti di bullismo».