Lo studente di filosofia Jan Palach aveva vent’anni all’epoca della “Primavera di Praga” e guardò con speranza a quella stagione riformista. Per protesta contro la repressione sovietica fondò un gruppo di volontari anti-Urss. Poi, il 16 gennaio 1969, si cosparse il corpo di benzina e si diede fuoco in piazza San Venceslao. Morì tre giorni dopo. Tra i suoi appunti venne ritrovata questa dichiarazione: «Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa…». Altri sette studenti seguirono il suo esempio e si tolsero la vita. Palach fu considerato dagli anticomunisti come un eroe e martire; anche la Chiesa cattolica lo difese, affermando che «un suicida in certi casi non scende all’inferno». Nel 1990 il presidente Václav Havel gli ha dedicato una lapide.