30/09/2008
di Nico CURCI
Economista
In questi giorni, in tempi normali, avremmo dovuto scrivere di Alitalia, di un piano di salvataggio che sembra andato in porto, di accordi sottoscritti dopo faticose e interminabili trattative. Avremmo dovuto scrivere di un gruppo di lavoratori che perderanno il loro lavoro, perché la nuova Alitalia, disegnata da Cai, avrà un numero di dipendenti inferiori di diverse migliaia rispetto alla somma dei dipendenti attuali di Alitalia e di AirOne, le due compagnie destinate a fondersi con il piano “Fenice”.
E a questi esuberi – che pure sono quelli più tutelati dalla politica, tanto da ricevere una garanzia di sostegno al reddito molto più alta di quella avuta in altre grandi crisi aziendali – se ne aggiungeranno molti altri nell’indotto, ricevendo però molte meno tutele. Già si raccontano alcune di queste storie minori, come quelle dei lavoratori delle cooperative incaricate di andare a prelevare i membri degli equipaggi dalle loro case per portarli all’aeroporto: le rendite e i privilegi che hanno portato a questa situazione paradossale verranno spazzate via, ma con esse anche il lavoro di tante persone oneste, verrà inesorabilmente cancellato.
Proprio a questo proposito, avremmo dovuto anche scrivere che ci stupisce e ci indigna, oggi che i licenziamenti diventano per così dire “ufficiali”, il modo in cui la lobby affaristica, politica e sindacale ha gestito questa azienda negli ultimi dieci anni, riducendola a essere lo specchio più veritiero di un Paese in cui le regole, il merito e l’efficienza sono diventati solo uno slogan da sbandierare per blandire il cittadino-elettore e da rinfacciare all’avversario, ma mai da applicare a se stessi.
Tuttavia, questi non sono tempi normali per l’economia e la finanza internazionali. E proprio il concludersi della vicenda Alitalia si intreccia con le notizie drammatiche che arrivano dall’America, dove i mercati stanno precipitando e dove il Congresso e il Senato temono il severissimo giudizio dei cittadini-elettori, non disposti a pagare di tasca loro gli errori commessi da altri, soprattutto quando questi altri si stanno godendo le loro miliardarie buonuscite al sole di qualche località esotica.
La pressione della società americana sulla politica in questo momento è fortissima. Il piano del Tesoro sta sostanzialmente creando in un attimo una montagna di debito pubblico molto simile a quella italiana, cioè superiore al Pil prodotto dal Paese in un anno, ma molto più ampia da assorbire per i mercati globali, in quanto il Pil americano è immensamente più grande di quello italiano. È una lotta drammatica tra lavoro e capitale, tra società e mercato, come non si vedeva da tempo.
Che cosa verrà fuori da questo sconquasso? Difficile a dirsi. Ma èchiaro che anche l’Europa pagherà a caro prezzo la crisi in atto. Un alto debito americano potrebbe creare inflazione in America e indebolire il dollaro; questo indebolimento non solo potrebbe causare un calo delle esportazioni europee verso l’America, aggravando la debolezza economica europea, ma potrebbe anche spingere di nuovo all’insù il petrolio. Nell’altra ipotesi, è facile supporre che anche in Europa ci sarà una sventagliata di crisi bancarie, con licenziamenti e nazionalizzazioni.
Insomma, stiamo vivendo tempi speciali. Tutti dovranno sopportare grandi sacrifici. Se proprio non potrà fare altro, la politica cerchi almeno di distribuire tali sacrifici sulle spalle di ognuno secondo le sue possibilità. Non vorremmo che, per difendere i furbetti che hanno causato questi disastri, in Alitalia come a Wall Street, la politica perda definitivamente il contatto con la gente, che altro non vuole che un minimo di giustizia e di assunzione di responsabilità.