10/04/08
di Francesco BONINI
La campagna elettorale dura da più di due anni: eppure, paradossalmente, queste ultime settimane sono state meno virulente rispetto ai toni di qualche mese fa, quando ancora era in sella il secondo governo Prodi.
Il paradosso è evidente: da una parte, il voto per la sedicesima legislatura rappresenta una sorta di secondo tempo rispetto a quello di due anni fa. Eppure tutto sembra cambiato: l’offerta politica – fermi restando i protagonisti, a eccezione del presidente del Consiglio uscente – si è molto rinnovata. Lo dimostrano le schede elettorali. Pensate per due compatte schiere multicolori di simboli, allineati in due coalizioni blindate, contengono ora una dozzina di monadi e due sole bine superstiti, a reclamare i quattro quinti dei voti, a credere agli ultimi sondaggi divulgati.
E’ già finita la “seconda Repubblica” mai nata? È la questione che il risultato di due anni fa aveva posto, che è stata elusa e oggi ritorna in tutta la sua evidenza. È finita la prima stagione del maggioritario, quella delle “alternanze per disperazione”, come aveva annunciato il pareggio non riconosciuto di due anni fa? La risposta sarà molto semplice. Sarà il responso quantitativo del computo dei seggi, in particolare per il Senato, per cui sono decisive alcune Regioni-cerniera.
Due altri dati potranno contribuire a dare qualche indicazione strategica: la percentuale dei votanti e il rapporto tra i voti alle due coalizioni e agli altri simboli. Permetteranno di inquadrare il dato quantitativo, cogliendo alcune tendenze strutturali. Con queste gli eletti si dovranno misurare a viso aperto. Il Paese, infatti, dopo essersi appassionato agli schieramenti, reclama risposte sui contenuti e soprattutto reclama un orizzonte non più limitato a mesi, al più a qualche anno.
La situazione non è brillante: fortunatamente anche l’Istat sembra avere lanciato un’operazione realismo nella misurazione dell’inflazione reale. La congiuntura europea e mondiale detta alcuni punti per un’agenda che sembra obbligata. Deve essere, per quanto riguarda i fondamentali economici, una prospettiva di aggiustamento e di investimento, che deve tenere conto di un orizzonte mondiale – quello di questo nuovo secolo – che ha ormai diversi nuovi protagonisti. Né si può ricorrere al generico riferimento all’Europa, cioè al “vincolo esterno” cogente a comportamenti virtuosi obbligati. L’Unione stessa, infatti, è chiamata a prendere decisioni strategiche e non può mancare un fattivo e creativo contributo italiano.
Questo, però, non basta. Occorre un quadro istituzionale stabile ed efficiente e un sistema di riferimento etico, di principi e di valori, adeguato. Riforme istituzionali limitate, ma efficaci, dunque, senza retoriche: tra un anno incombe un referendum elettorale. Ma soprattutto consolidamento dei valori e delle istituzioni, a partire dalla famiglia, che fanno l’identità italiana. Di qui passa il voto e una legislatura stabile e produttiva.