Il rispetto dei simboli religiosi «che è doveroso» e la mancanza di un luogo dignitoso, a Milano, in cui pregare. La necessità di confrontarsi tra religioni per sconfiggere alla radice ogni strumentalizzazione in nome di Dio e la vita di tutti i giorni. Con Mahmoud Asfa, presidente del Consiglio Direttivo della Casa Musulmana di via Padova, il dialogo è vivace e a tutto tondo. Il punto di partenza è il riferimento ai simboli religiosi, come quella festività islamica che, con l’aumento del numero dei musulmani soprattutto a Milano, potrebbe – è solo un’ipotesi – essere inserita nel calendario pubblico. «Quella del cardinale Scola mi sembra una proposta piena di senso – rileva Asfa -. Siamo grati all’Arcivescovo e lo ringraziamo di cuore, poiché crediamo che possa essere un’idea utile in una città ormai multietnica e multiculturale. Come Casa della Cultura Musulmana siamo pienamente d’accordo. È bello pensare che, magari a scuola, i bimbi, fin da piccoli, imparino a fare festa insieme, conoscendosi e rispettando la fede di ciascuno».
Significativamente lei fa parte del Comitato scientifico dei «Dialoghi di Vita Buona». Secondo la sua esperienza, quali sono gli ambiti nei quali ci si può incontrare per migliorare la convivenza?
I contesti sono moltissimi. Penso principalmente a quelli di cui parla spesso il Cardinale e che tutti, in quanto donne e uomini, sperimentiamo nel quotidiano: l’ambiente di lavoro, il tempo del riposo, la solidarietà, la famiglia che, per noi come per i cristiani, ha un valore indiscutibile e cruciale anche per la struttura sociale. Vorrei poi citare la misericordia, anche perché, come musulmani, siamo stati già invitati più volte a confrontarci su questo tema da quando è iniziato l’Anno straordinario indetto da papa Francesco. Così si rafforza la vita buona.
Non a caso, uno degli attributi di Allah è proprio il «Misericordioso»…
Nella tradizione islamica Dio ha novantanove nomi, tra i quali «Misericordioso» e «Clemente» vengono ripetuti all’inizio di ogni preghiera e sono, quindi, tra i più noti. Basterebbe ricordare questo per comprendere come è facile incontrarsi e lavorare, spalla a spalla, per il bene comune.
Vivendo da molto tempo a Milano, in questi anni ha visto progredire il dialogo o, al contrario, radicalizzarsi alcune posizioni?
Credo che si possa dire che molti passi avanti sono stati oggettivamente compiuti, ma che tuttavia occorre impegnarsi ancora sulla mentalità diffusa. In questo senso, l’impulso che viene dal Cardinale è molto importante. Per noi rimane comunque fondamentale la questione della costruzione di un luogo di culto e preghiera, tema su cui bisogna dire che Milano, rispetto ad altre città europee, è in grave ritardo. La metropoli dell’Esposizione universale, con tutta la sua capacità imprenditoriale, famosa nel mondo, non ha una Moschea. Per far comprendere cosa significhi per noi tale mancanza, porto un esempio: mia figlia già a otto anni mi chiedeva perché dovevamo pregare in un garage; ora di anni ne ha ventidue…
Questa è la priorità su cui vorreste orientare gli sforzi per un migliore riconoscimento reciproco?
Certamente. A Milano siamo 120 mila musulmani e non è più possibile fare i turni per adempiere ai propri doveri religiosi, magari attendendo quasi un’ora per pregare dieci minuti. Questa evidente ingiustizia colpisce ogni giorno chi lavora, paga le tasse, è un cittadino di questa città. Senza dimenticare che non avere a disposizione uno spazio degno per esercitare il diritto a professare la nostra fede, può diventare anche un incentivo, in qualcuno, a radicalizzare le proprie posizioni. Su questo ci sentiamo di fare un appello anche all’Arcivescovo.