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Sirio 10 - 16 marzo 2025
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Milano

Arbib: Giubileo, programma di Dio per armonizzare libertà e uguaglianza

All’Ambrosianeum l’intervento del Rabbino capo milanese sulle radici bibliche dell’Anno santo, declinato con una dura analisi dell’attualità geopolitica: «In questo ultimo periodo c’è stata una sottovalutazione dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo. Questo ha prodotto anche un momento di crisi del dialogo interreligioso»

di Annamaria BRACCINI

17 Gennaio 2025
Rav Alfonso Arbib (Agenzia Fotogramma)

«Che cosa è lo jobel, da cui nasce, secondo la tradizione, il termine Giubileo? È molto probabilmente il corno di ariete, ma c’è anche un’interpretazione medievale che dice che la parola-chiave di Levitico 25 è una liberazione traducibile con libertà – non a caso, la definizione usata in questo passo, ma molto raramente nella Torah, è deròr -, una libertà assoluta, obbligatoria perché si è obbligati a essere liberi, anche se si vorrebbe rimanere schiavi».

Il saluto dell’Arcivescovo (Agenzia Fotogramma)

La serata

Parte da un’analisi profonda del concetto di libertà, l’articolata riflessione di rav Alfonso Pedatzur Arbib, rabbino capo di Milano e presidente del Tribunale rabbinico italiano, intervenuto con Daniele Garrone, pastore valdese e presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, all’incontro «Il giubileo biblico. Levitico 25», svoltosi alla Fondazione Ambrosianeum , alla presenza dell’Arcivescovo, alla vigilia della XXXVI Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei.

La serata ha visto il saluto introduttivo del padre ortodosso romeno Traian Valdman, presidente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, patrocinatore dell’evento insieme al Centro di Documentazione ebraica contemporanea e a diverse altre realtà. Nell’affollatissima Sala Falck della Fondazione, presenti anche il vicario episcopale di settore monsignor Luca Bressan, presidente della Commissione diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo, e il diacono permanente Roberto Pagani, responsabile dell’omonimo Servizio.

L’evento ha fatto memoria delle radici scritturistiche del Giubileo, senza dimenticare il riferimento al difficile presente di Israele. Dopo il saluto dell’Arcivescovo, infatti, la relazione del Rabbino capo ha affrontato la questione giubilare in stretta connessione con l’oggi.  

La Sala Falck che ha ospitato l’incontro (Agenzia Fotogramma)

La finalità educativa del Giubileo

Ha osservato rav Arbib: «Il Giubileo è essenzialmente legato alla libertà e ad altre due norme fondamentali: la remissione dei debiti e il ritorno alle proprietà, poiché le diseguaglianze economiche e le ingiustizie hanno a che fare per la servitù. Per questo il Giubileo ricrea una condizione di libertà che comprende anche la libertà economica. Questo viene detto in modo più moderno da Jonathan Sacks (il carismatico Rabbino capo britannico, autorità spirituale indiscussa dell’ebraismo contemporaneo, scomparso nel 2020, ndr): il Giubileo come l’anno sabbatico, ogni sette anni, sono un tentativo di armonizzare i concetti di uguaglianza e libertà, non attraverso un progetto umano, ma un programma stabilito da Dio».

E così è anche per il ritorno al possesso della terra. «È giusto? – si è chiesto il Rabbino -. La risposta della Torah è che lo decide Dio, perché la terra appartiene a lui. L’idea che noi abitiamo una terra che non ci appartiene è sostanziale nella tradizione ebraica. Siamo di passaggio e, appunto per questo, il Giubileo ha anche una finalità educativa, essendo strettamente legato al giorno dell’espiazione, il kippur. Il Giubileo è qualcosa di terreno, perché riguarda la terra, che può essere osservato solo in terra di Israele. E proprio la sua inosservanza, come quella degli anni sabbatici da parte del popolo ebraico, è una delle motivazioni dell’esilio», ha ricordato ancora Arbib, richiamando «il legame fortissimo tra gli Ebrei e la terra di Israele».   

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Ebrei e Israele: un legame indissolubile

«Faccio questo preciso riferimento perché abbiamo assistito, specie nell’ultimo anno in maniera eclatante, alla negazione di questo legame. Se antisionismo significa non essere d’accordo con un’impostazione politica, ci può stare, ma questa negazione ha un rapporto molto forte con l’antisemitismo, perché in realtà si va a toccare qualcosa che la tradizione e la cultura ebraica hanno portato avanti per millenni. Mettere in discussione tale legame significa delegittimare non solo lo Stato di Israele, ma tutta la cultura ebraica nel suo legame con la terra. Questo processo, che vi è sempre stato, tuttavia si è sviluppato in maniera preoccupante in questo ultimo anno, con uno sfondo culturale estremamente pericoloso, che mi aspetterei faccia scandalo, perché tende a mettere in dubbio l’esistenza stessa di Israele».

Ovvio il richiamo alle difficoltà che tutto questo può apportare anche al dialogo interreligioso.

Una mancanza di empatia

«Come Assemblea Rabbinica Italiana abbiamo inviato un testo alla Conferenza Episcopale Italiana (rinvenibile sul sito dell’Assemblea), nel quale si pongono una quantità di domande, ma il cui punto di partenza è che siamo arrivati a un momento di crisi del dialogo interreligioso. La nostra percezione è che in questo anno sia mancata l’empatia e vi sia stata una sottovalutazione dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo. Basti pensare alla questione degli ostaggi, dove vi è stata un’insensibilità di fondo che ha riguardato il mondo intero. Gli odiatori di professione esistono, ma da parte di persone che hanno sensibilità si poteva fare di più e se così fosse stato anche nel mondo religioso forse ora saremmo in una situazione diversa per quanto riguarda gli ostaggi. Verso Gaza, e non la metto in discussione, vi è stata molta solidarietà, ma nulla di simile è successo per Israele, colpito da 40 mila tra missili e droni solo nel 2024. Anche su questo mi sarei aspettato una solidarietà diversa. Il dialogo è sostanzialmente comprensione: ciò che bisogna superare è l’insegnamento del disprezzo come diceva Jules Isaac, ma ora mi pare che vi stiamo tornando. Vorrei che si stesse più attenti a tutto questo. Noi continuiamo a credere nel dialogo e nella speranza, che non è solo sperare in un futuro migliore, ma agire per questo».  

Daniele Garrone (Agenzia Fotogramma)

Garrone: la spiritualità del Giubileo

Al presente ha fatto accenno anche il pastore Garrone: «La grande domanda è da dove può nascere l’idea di un ripristino delle condizioni eguali di partenza, invertendo le dinamiche in corso al fine di favorire il riscatto di alcuni, compreso chi ha dovuto asservirsi per necessità. Il Giubileo, in una prospettiva per nulla utopica, ci dice che bisogna instaurare sistemi che mettano rimedio concreto ad alcuni meccanismi incontrollabili. Oggi siamo tutti appassionati della libertà come diritto, ma il Levitico indica qualcosa di più, ossia che la liberazione è un dovere. Ricordarci di questo – “tu sei libero perché sei stato liberato” – è fondamentale».

 

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