C’è una veste bianca anche per noi (130 pagine, 10 euro), il nuovo volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana – Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, a firma di Vittore De Carli, «non è un libro da leggere, da studiare», o per imparare a «fare» qualcosa. Questo «è un libro per conversare». Per avviare un dialogo, per creare e coltivare un’amicizia, per seminare domande e risposte, per cercare insieme «una sapienza più alta, un pensiero più umile, una preghiera più sincera». Per scoprire, insieme, che «c’è una veste bianca anche per noi»: così l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, metropolita di Lombardia, scrive nella prefazione al volume.
Si tratta di un testo che raccoglie le storie di sedici persone che hanno contratto il Coronavirus. Sedici storie che hanno nell’esperienza della malattia il denominatore comune. Ma questo è solo un primo livello del discorso. Perché c’è qualcosa di più profondo, ad accomunarle: la dimensione della testimonianza. Ecco: quelle sedici persone – padri e madri di famiglia, professionisti e operai, medici e infermieri, laici ma anche preti e, fra loro, pure un Vescovo, quello di Cremona – sono innanzitutto dei testimoni.
C’è chi è guarito e ha potuto raccontare a De Carli la sua esperienza in prima persona. E c’è chi non ce l’ha fatta, e la sua storia è affidata alla voce di chi l’ha conosciuto, affiancato, amato. Ma tutti e sedici – chi è tornato alla vita dopo aver rischiato la morte, chi ha ricevuto il dono di una vita nuova – hanno in comune il fatto – usando il linguaggio dell’Apocalisse al quale attinge il titolo del libro – di essere passati attraverso la «grande tribolazione» e di aver lavato le proprie vesti «rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
La «grande tribolazione» è la pandemia di Coronavirus che nella primavera del 2020 ha avuto in Lombardia l’epicentro italiano: e sono tutti lombardi, quei sedici (e c’è pure chi viene dalla “zona rossa” di Lodi), anche se le loro storie assumono un valore che supera ogni confine e appartenenza. La «veste candida» è segno del martirio. Inteso nel suo significato autentico di testimonianza. Perché questo, sono i sedici del libro: testimoni. Non parlano di sé e per se stessi, ma agli altri e per gli altri. Con le loro storie di malattia, sofferenza, solitudine, solidarietà, che per alcuni sono culminate nella guarigione, per altri nell’agonia e nella morte, questi testimoni provocano la nostra intelligenza, la nostra libertà, il nostro cuore, la nostra fede. In queste storie si mette in gioco il senso della vita e delle relazioni fondamentali con gli altri, con noi stessi, con Dio. Sono testimonianze che chiamano a «una sapienza più alta», come riconosce l’arcivescovo Delpini. E lo fanno non con i discorsi edificanti, ma con il racconto di esperienze concrete, spesso drammatiche, sempre commoventi, dove nella tragedia della pandemia riescono a insinuarsi i raggi di sole di una solidarietà, un sorriso, una speranza. Incontrati camminando “nella compagnia” di amici e familiari, di medici, infermieri, cappellani. E di Dio. Ecco: la famiglia e la fede sono i due appigli sicuri nella prova della malattia che queste storie restituiscono. Messi a dura prova, certo. Ma alla fine affidabili. Il libro, inoltre, mostra il tanto bene nascosto, accaduto nei mesi terribili della prima ondata della pandemia. E sono, tutti questi, beni preziosi per il nuovo tempo di prova, con la pandemia che torna a farsi minacciosa e letale.
Il libro, inoltre, raccoglie e restituisce storie di persone sconosciute al grande pubblico. Solo la malattia e la guarigione del vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, e il sacrificio di Gino Fasoli – medico in pensione rientrato in servizio per aiutare i colleghi in emergenza, e ucciso dal virus – hanno avuto una qualche risonanza mediatica. Per il resto: nel libro si incontrano madri e padri, lavoratori, pensionati, sacerdoti, persone diversamente abili, volontari, tutti ignoti al circo mediatico. E dello stesso Fasoli sono offerti tratti e pagine inediti. A proposito dei volontari: l’impegno nell’Unitalsi, della cui Sezione Lombarda è presidente De Carli, è uno dei tratti che accomuna persone e storie narrate in queste pagine. Ebbene: nel 2021 l’Unitalsi Lombarda celebra i suoi cent’anni di vita. Farlo nello scenario drammatico di questa pandemia diventa – anche con l’aiuto del libro di De Carli – un’occasione per approfondire e rinnovare l’identità e la missione dell’Unitalsi. La sua testimonianza di carità, servizio, prossimità. Ed è emblematico che De Carli abbia voluto dedicare il libro ad una persona che ha vissuto l’amore per gli ultimi nel nascondimento e fino al dono totale di sé: don Roberto Malgesini, il prete della diocesi di Como ucciso il 15 settembre 2020 da uno dei poveri che aiutava. Lui, la sua «veste bianca», l’ha indossata ogni giorno senza che nessuno se ne avvedesse. Ed è una nuova testimonianza, a illuminare il cammino di ciascuno alla scoperta che davvero «c’è una veste bianca anche per noi».