Il prossimo 7 dicembre, nel giorno della festa di sant’Ambrogio, si rinnova a Milano uno degli appuntamenti più noti in città: la consegna delle civiche onorificenze chiamate «Ambrogini d’oro». Alle persone premiate, che si sono distinte per il loro impegno sociale, o nella ricerca scientifica, o per la crescita artistica della comunità milanese, in Italia e nel mondo, viene infatti assegnata una medaglia d’oro che prende il nome da una preziosa moneta aurea di epoca medievale, dove compare l’effigie del santo patrono
Pesante circa tre grammi e mezzo e dal diametro di venti millimetri, l’Ambrosino – questo il nome usato dai numismatici – è attestato fin dagli inizi del Trecento: presenta il santo vescovo in piedi, nimbato e paludato nei paramenti pontificali, benedicente con la mano destra, mentre la sinistra regge il pastorale. Contornata dal suo nome (S. Ambrosius), la figura del patrono è inserita sotto un arco trilobato ed è affiancata da due virgulti vegetali, che simboleggiano, forse, la floridezza della comunità milanese.
Sul diritto della moneta, invece, compaiono i santi Gervaso e Protaso, in piedi, identici nella posa e nelle fattezze, ciascuno con una piccola croce in mano. I due giovani martiri, che il vescovo stesso rinvenne per ispirazione divina nel 386 (deponendoli quindi nella basilica che oggi porta il titolo di Sant’Ambrogio), sono separati dal nome della città: Mediolanum, scritto dall’alto verso il basso, che quindi si impone al centro della scena.
L’Ambrosino d’oro, tuttavia, non fu la prima né l’unica moneta coniata a Milano con l’icona del santo patrono. Proprio sant’Ambrogio, infatti, per lungo tempo è stato il protagonista assoluto delle serie monetali della città di Milano. Monete che circolavano, che rappresentavano l’autorità stessa che le aveva emesse, diventando così uno strumento di propaganda anche nei confronti delle altre città e nazioni. E che, soprattutto, si ponevano come elemento di identità comunitaria. Così che per secoli i milanesi hanno potuto portare con sé una piccola immagine del patrono, magari senza neanche pensarci…
Già nella prima metà del XIII secolo, infatti, Ambrogio compare su un Grosso, la più importante moneta d’argento di Milano, dove il vescovo è raffigurato sempre benedicente, ma seduto in cattedra, senza una particolare «ambientazione». La tipologia, osservano i numismatici, sembra dipendere dall’imitazione del Matapano, il primo Grosso argenteo emesso a Venezia nel 1194, con la figura del Redentore frontale in trono, in uno schema di evidente derivazione bizantina. Di fatto nel corso del Duecento diverse città dell’Italia centrale e settentrionale cominciarono a coniare monete che riportano l’effige del santo protettore della città, o altri simboli, religiosi o più raramente laici, legati alla storia e alla tradizione del territorio, rivendicando così le autonomie e i diritti conquistati rispetto all’autorità imperiale.
Le figure dei martiri Gervaso e Protaso sparirono abbastanza presto dalle monete milanesi, ma non quella di Ambrogio, che anzi venne continuamente riprodotta e «aggiornata». Luchino, il protagonista della celebre battaglia di Parabiago del 21 febbraio 1339 (dove il patrono sarebbe apparso per guidare alla vittoria l’esercito milanese contro le truppe straniere e mercenarie), fu il primo a voler associare il biscione dei Visconti all’immagine del santo vescovo. Mentre il temibile flagello, attributo iconografico caratteristico di sant’Ambrogio, nella monetazione di Milano comparve soltanto una ventina di anni più tardi, sotto la signoria di Galeazzo Bernabò, e vi rimase per quasi quattro secoli.
Dopo aver riprodotto anche la versione equestre con Galeazzo Maria Sforza (1466-1476) e quella con il vescovo che «calpesta» i nemici armati, a opera di Francesco II (1522-1535), l’ultima immagine di sant’Ambrogio su una moneta fu quella sui cinque Soldi asburgici di Carlo VI, emessa fino al 1740. Con Napoleone, infatti, il patrono svanisce.
Rimase tuttavia nel gonfalone ufficiale del Comune di Milano, perché sant’Ambrogio è sempre stato considerato dai milanesi non solo protettore della Chiesa, ma anche difensore della città, e quindi garante delle sue libertà civiche. Ed è proprio il gonfalone civico che è riprodotto sulla medaglia assegnata ai premiati dell’Ambrogino d’oro.