Metanopoli, la “città del metano”. Detto così oggi fa quasi sorridere, ma dietro quel nome, lo sappiamo, c’era un progetto grandioso e una visione avveniristica: quelli di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni, l’ente nazionale idrocarburi. Che, come un principe rinascimentale del ventesimo secolo, aveva ideato, e quindi realizzato, una nuova «città ideale» alle porte di Milano, a San Donato, che fosse il simbolo stesso della rinascita economica e culturale dell’Italia nel dopoguerra. Un luogo dove tutto avrebbe dovuto essere a misura d’uomo e del progresso, in un connubio armonioso fra natura, lavoro e urbanizzazione: con le fabbriche, gli uffici e i magazzini; le case per gli operai, gli impiegati e le loro famiglie; le scuole dove formare il personale specializzato; i centri sportivi e ricreativi; e perfino la chiesa, come cuore e anima di questo futuristico agglomerato sociale.
Quest’avventura prendeva il via agli inizi degli anni Cinquanta, settant’anni fa. La chiesa di Santa Barbara, patrona di artificieri e minatori (e quindi, nei tempi moderni, anche di chi ha a che fare con gas e petrolio), divenne ben presto un «caso», non solo a livello di studi di architettura, ma anche nel dibattito, all’epoca assai vivace, di come l’arte doveva e poteva interpretare il sacro nel mondo contemporaneo, al servizio della liturgia, o da essa svincolata.
Temi ancora oggi di attualità, che torneranno ad essere affrontati nel convegno dal titolo: «Da Metanopoli alle Olimpiadi 2026» (leggi qui), che si terrà giovedì 27 ottobre, organizzato dall’Ufficio Beni culturali dell’Arcidiocesi di Milano in collaborazione con l’Ordine degli architetti della Provincia di Milano (per iscriversi, cliccare qui). Con una sessione mattutina che avrà luogo a Milano, presso la Sala convegni dell’Arcivescovado (piazza Fontana, 2), aperta dall’arcivescovo, mons. Mario Delpini, e da mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura; e, a seguire, gli interventi specialistici di Maria Antonietta Crippa, Alessandro Balducci, Stefano Boeri e Massimo Epis. La giornata di studi proseguirà nel pomeriggio a San Donato Milanese, proprio nella chiesa di Santa Barbara (fresca di restauri), con i saluti istituzionali e le relazioni di Davide Colombo e Paola Zanolini; e una tavola rotonda su: «L’arte a servizio del culto», condotta da don Giovanni Zanchi, con Alessandro Nastasio, Giovanni Frangi, Gian Riccardo Piccoli, Mario Airò.
La chiesa di Santa Barbara a Metanopoli fu consacrata il 3 dicembre 1955 dall’arcivescovo Giovan Battista Montini, che da meno di un anno era stato chiamato a guidare la Diocesi di Milano. Alla cerimonia presenziarono diversi esponenti politici nazionali, fra i quali anche il ministro Vanoni, che furono poi accompagnati dal “padrone di casa”, Enrico Mattei, a visitare la nuova «città del metano», con l’inaugurazione di uffici e laboratori.
È nota la dedizione continua che Montini riservò alla costruzione di nuove chiese nei territori ambrosiani e, in particolare, nell’area metropolitana di Milano, che proprio in quegli anni era interessata da un vorticoso flusso migratorio, vivendo quindi una stagione di forti cambiamenti e di vere emergenze. Quando salì al soglio pontificio col nome di Paolo VI, erano ben 123 i nuovi edifici di culto che erano stati realizzati, o comunque avviati, in Diocesi negli otto anni del suo episcopato, ognuno dei quali, come fu scritto allora, «reca le tracce di tanti suoi pensieri, è una tappa dei suoi programmi».
In questa titanica impresa, Montini ebbe come «alleato» proprio Mattei. Il presidente dell’Agip, infatti, era alla guida di quel «Comitato nuove chiese», creato già dal cardinal Schuster, che era carissimo al vescovo di Milano: la carità pastorale dell’uno, del resto, ben si intendeva con la pragmatica intraprendenza dell’altro, sfociando nell’amicizia.
Mario Bacciocchi, autore di importanti progetti nella Milano prebellica e architetto di fiducia di Enrico Mattei, progetta la chiesa di Santa Barbara a Metanopoli richiamando, nel paramento esterno, gli ornati policromi delle pievi toscane, con la facciata, scandita da tre guglie, che «cita» invece il profilo del Duomo ambrosiano. L’interno presenta un’ampia navata, con cappelle laterali collegate fra loro e con un corto transetto: l’area del presbiterio è illuminata dalla luce che penetra da un lucernario.
La decorazione venne affidata ad artisti già noti, e ad altri, giovanissimi, destinati ad affermarsi rapidamente. Il portale centrale in bronzo, ad esempio, con la vita di santa Barbara, è opera dei fratelli Arnaldo e Giò Pomodoro. Il soffitto, interamente restaurato nei mesi scorsi, è rivestito con pannelli che recano simboli biblici, porta la firma di Andrea Cascella. Le stazioni della Via Crucis sono di Pericle Fazzini.
Bruno Zevi, nel 1957, scrisse che era una delle più brutte costruzioni realizzate nel dopoguerra. Altri, invece, ne lodarono le coraggiose novità in rapporto all’arte sacra. Un confronto che continua, anche se storicizzato e attualizzato: come questo nuovo convegno dimostra.