Il cavaliere, la principessa, il drago. Ci sono storie che hanno tutti gli ingredienti per risultare subito affascinanti. Quella di san Giorgio ne è uno degli esempi più eclatanti, tanto che la sua leggenda è stata una delle più diffuse per tutto il medioevo, e oltre, dominando nei secoli l’immaginario collettivo con la sua immediata e potente carica simbolica. E anche oggi che la sua festa è stata «ridotta di grado» (e non soppressa, come erroneamente si crede) «per mancanza di notizie biografiche sicure da inserire nella liturgia» (come si espresse già sessant’anni fa la Congregazione dei riti), il santo dalla scintillante armatura continua instancabile la sua giusta lotta sulle pareti delle nostre chiese, difendendo i deboli e salvando gli oppressi dalle più terribili minacce, mettendo tutta la sua energia, ma confidando innanzitutto nell’aiuto di Dio.
Anche in terra ambrosiana numerose e radicate sono le testimonianze legate al culto di san Giorgio. A Milano, nella centralissima via Torino, al santo cavaliere è dedicata l’antica basilica che sorge in un luogo di grande significato storico, ovvero nei pressi di quel “Palazzo” imperiale dove nell’anno 313 Costantino proclamò quel celebre “editto” che concedeva la libertà religiosa nei territori romani, legittimando così la professione cristiana.
I longobardi, popolo di guerrieri, nutrivano una devozione particolare per san Giorgio e a lui consacrarono diversi templi: come fece, ad esempio, re Cuniperto nel VII secolo a Cornate d’Adda, sul luogo dove aveva sconfitto il suo rivale. In epoca carolingia la fortuna del santo non venne meno e anzi si rafforzò con nuove fondazioni (nel milanese, ma anche tra Monza e Treviglio, e ancora più a nord). Goffredo da Bussero, nel suo prezioso registro del XIII secolo, fornisce un lungo elenco di chiese e cappelle dedicate a san Giorgio nella diocesi di Milano (sorte, come sottolinea il presbitero, soprattutto per iniziativa di «multi nobiles»), una cinquantina delle quali è ancor oggi esistente.
La leggenda narra che Giorgio fosse un nobile cavaliere errante, originario della Cappadocia (nell’attuale Turchia), di fede cristiana. Apostolo su un bianco cavallo, giunse un giorno nel regno di Silene, in Cirenaica, che era funestato dalla presenza di un terribile drago, la cui forza distruttrice poteva essere contenuta solo da sacrifici umani. Fu proprio il “soldato di Cristo” a salvare dalle fauci del mostro la figlia del re, e come ricompensa non volle né onori né denari, ma che tutto il popolo si convertisse ricevendo il battesimo.
In realtà di san Giorgio non abbiamo notizie storiche e l’unico dato certo è il suo martirio, che avvenne agli inizi del IV secolo in Palestina: sul luogo della sua sepoltura, a Lidda, sorse una basilica che fu centro di culto vivissimo e meta di pellegrinaggi. E laddove mancavano i documenti subentrò la fantasia popolare, attingendo a piene mani anche a racconti mitologici come quello di Perseo e Andromeda. Del resto, già Jacopo da Varagine, il frate domenicano che nel Duecento raccolse i vari racconti agiografici nella sua monumentale Legenda aurea e che ampio spazio dedica proprio a questa vicenda, avvertiva i lettori che la mirabolante avventura del nostro cavaliere non era da considerare in senso letterale, ma simbolico.
La leggenda di san Giorgio, infatti, esemplifica la lotta del bene contro il male, sul modello della battaglia condotta dall’arcangelo Michele, così come è descritta nel libro dell’Apocalisse: testo dal quale, presumibilmente, è tratta anche l’immagine del drago. Ma è anche la narrazione figurata dell’evangelizzazione dei popoli pagani nei primi secoli del cristianesimo, operata attraverso la testimonianza dei “martiri”, appunto. Senza dimenticare che, al tempo delle crociate, la figura del santo cavaliere divenne facilmente il patrono di quanti si dedicavano all’impresa di riconquistare i luoghi santi, con corporazioni e perfino intere nazioni che si misero sotto la sua protezione, dall’Inghilterra all’Etiopia.
L’apparato iconografico, naturalmente, andò di pari passo, tanto che la rappresentazione di san Giorgio che combatte con il drago è in assoluto una delle più diffuse nell’arte cristiana, in epoca medievale ma ancora nei tempi moderni, in Occidente come in Oriente (dove il cavaliere è annoverato fra i megalomartyroi, cioè i santi per eccellenza della tradizione ortodossa).
Non si può tralasciare, inoltre, il fatto che il nome Giorgio, in greco, significa: “uomo della terra”. La qual cosa, d’acchito, sembra contrastare con l’idea di nobiltà che accompagna la vicenda del nostro cavaliere… In realtà, a ben pensarci, questa storia racconta anche l’azione “civilizzatrice” degli uomini nei confronti di ambienti naturali che, ancora in epoca medievale, apparivano selvaggi, inospitali e perfino pericolosi (il drago della Cirenaica, infatti, uccideva con il suo fiato pestilenziale: una metafora, dunque, dei miasmi mortiferi delle paludi).
Ecco allora che, accanto a tutto ciò, Giorgio divenne anche il santo taumaturgo, invocato, insieme a Sebastiano e a Rocco, contro morbi e pestilenze, festeggiato, non a caso, a un mese circa dall’equinozio di primavera. E nella tradizione ambrosiana era anche particolarmente legato ai lattai e alla produzione di formaggi. Ma questa è un’altra storia che racconteremo in una prossima occasione.
Chi vuole contribuire a una ricerca sulle immagini di san Giorgio nella diocesi di Milano, può inviare foto e indicazioni all’email: luca.frigerio@chiesadimilano.it