La decisione era presa: scrivere al Papa! Chiedere direttamente a lui, il capo della Chiesa, il Vicario di Cristo, di riconoscere ufficialmente e di benedire quella loro esperienza religiosa, tutta al femminile e per molti aspetti nuova, fino ad apparire «scandalosa» ad alcuni, per la radicalità della loro scelta evangelica, per la povertà assoluta della loro vita, spesa ogni giorno in preghiera e carità… La supplica di Caterina venne inviata a Roma il 5 gennaio 1473. Quasi due anni più tardi, il 10 novembre 1474, Sisto IV, il pontefice francescano che darà il nome alla celebre cappella in Vaticano ornata dai più grandi artisti (Michelangelo su tutti), accoglieva quella devota richiesta, autorizzando con una bolla l’erezione di una comunità monastica accanto al santuario di Santa Maria del Monte, sopra Varese.
Iniziava così, 550 anni fa, la storia del Monastero delle Romite ambrosiane, che continua ancora oggi con generosità di frutti e di carismi. Già l’8 luglio scorso monsignor Ennio Apeciti, membro del Dicastero delle cause dei santi, ha ripercorso il «segreto» di quell’inizio e della sua attualità, in un incontro pubblico tenutosi presso il santuario del Sacro Monte di Varese. E sabato prossimo, 10 agosto, a salire a Santa Maria del Monte per celebrare l’importante anniversario sarà l’arcivescovo di Milano, che presiederà la Santa Messa mattutina delle 8, preceduta, come da tradizione, dalla salita della Via Sacra tra le Cappelle con la recita del Santo Rosario. Monsignor Delpini, peraltro, tornerà nel santuario varesino anche sabato 28 agosto, alle 18, per un incontro-meditazione con le Romite, aperto a tutti.
Il 1474 segna dunque l’inizio dell’esperienza cenobitica attorno a Santa Maria del Monte. Tuttavia questa storia parte ancora prima, e ha come protagoniste due donne: le beate Caterina e Giuliana.
Caterina era nata a Pallanza, vicino a Verbania, nella nobile famiglia dei Morigi. Rimasta orfana in tenera età, venne accolta a Milano, dove entrò in contatto con ambienti di forte spiritualità, scegliendo, giovanissima, la vita consacrata. Dopo aver fatto varie esperienze religiose, insoddisfatta da ognuna, si sentì chiamata alla vita eremitica che alcune donne conducevano nelle grotte adiacenti al santuario di Santa Maria del Monte, che la tradizione voleva fondato da sant’Ambrogio stesso. Un eremitaggio, come si legge nell’antica cronaca, «horrido ed aspero, sia per lo sito del loco quale a quel tempo pariva più presto spelunca de fiere che de humana abitazione, sia perché ogni cosa era derrotta per la pestilenza»: e ciò nonostante, «per lo ardente desiderio che aveva», quel luogo pareva a Caterina «un paradiso».
Proprio quella «pestilenza», infatti, si portò via tutte le eremite con le quali viveva la giovane, che si ritrovò nuovamente sola. Ma una volta guarita (essendo stata colpita anche lei dal morbo), Caterina volle restare a Santa Maria del Monte, vivendo in ascetica solitudine, prodigandosi al contempo ad assistere con carità i pellegrini, spesso bisognosi di cure, che salivano al santuario.
Nel 1454 la Provvidenza le mandò una nuova compagna: Giuliana Puricelli, nativa di Cascina Verghera, a Busto Arsizio, che fuggiva da una situazione famigliare di maltrattamenti e angherie, mentre lei non desiderava altro che consacrarsi al Signore.
Le due donne avevano personalità diverse. Caterina era una donna colta, che conosceva bene le Sacre Scritture: aveva un temperamento deciso, tanto da permettersi di riprendere fraternamente anche quei sacerdoti che non facevano onore al loro abito, per gli atteggiamenti sconvenienti o per la scarsa preparazione teologica. Giuliana invece era una donna semplice, di poca istruzione ma di grande umiltà e bontà d’animo: una contemplativa che non esitava a donarsi interamente agli ultimi e ai bisognosi. Insieme si «completavano» e si sostenevano ogni giorno, sulla via della santità.
La loro presenza attirò ben presto a Santa Maria del Monte altre donne desiderose di vivere in preghiera e carità, tanto che nel giro di pochi anni si formò una vera comunità di romite. Mossa dal desiderio di garantire dallo scioglimento la loro «salda compagnia», Caterina allora fece domanda perché potessero professare la Regola di sant’Agostino, osservando le Costituzioni dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus (un’antichissima congregazione di monaci ambrosiani): e questo per il legame strettissimo delle fondatrici con la figura e il magistero del santo patrono della Diocesi di Milano, ribadito anche nella richiesta di poter dire l’ufficio liturgico secondo il rito ambrosiano.
Il 10 agosto 1476, con professione religiosa ufficiale, le eremite di Santa Maria del Monte a Varese passarono a vita cenobitica ed elessero Caterina come loro abbadessa. Che poté guidare il nuovo monastero per poco meno di due anni, poiché morì il 6 aprile 1478, lasciando alle sorelle il testamento della carità e dell’obbedienza alla volontà di Dio. Giuliana, invece, spirò il 15 agosto 1501, nella notte dell’Assunzione della Beata Vergine Maria: morì santamente come aveva vissuto, nella più assoluta povertà e umiltà, così che come sua ultima volontà volle essere adagiata sulla nuda terra, come san Francesco d’Assisi.