Una figura ammantata, con il capo coperto e chino, stende le braccia in avanti reggendo il corpo esanime di un fanciullo. È un’immagine potente e terribile, che suscita al medesimo tempo un sentimento di pietà e di sconcerto, per la sconvolgente verità che proclama: una madre a cui le è stato tolto il figlio, ucciso, dilaniato, distrutto. Una novella Pietà, come Maria sotto la Croce, con Gesù in grembo, che ora però si è alzata in piedi e in silenzio, con la fermezza che solo i più grandi dolori possono dare, mostra il frutto del suo grembo privato della vita. A parlare sono le parole scolpite sopra di lei: «Ecco la guerra».
Il monumento ai Piccoli martiri di Gorla fu realizzato da Remo Brioschi nel 1947. E ora che di anni ne sono passati ottanta, il dolore e lo sconcerto per quell’eccidio che colpì 184 bambini e i loro maestri, non si placano. Perché quello scempio, e non da oggi, è diventato il simbolo delle vittime innocenti di tutti i conflitti: il ripetuto, inascoltato appello degli uomini di buona volontà che «nulla è perduto con la pace: tutto può esserlo con la guerra». Motivo per cui anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nei giorni scorsi ha voluto portare il suo omaggio e quello della nazione, visitando il sacrario e incontrando alcuni superstiti di quella tragedia. Mentre proprio domenica, alle 9, nel giorno esatto dell’anniversario, l’arcivescovo di Milano celebra una Santa Messa in memoria.
In quella mattina di venerdì 20 ottobre del 1944, quinto anno di guerra, alle 11.14 si udì un allarme. Un suono dal significato ormai noto: aerei in avvicinamento su Milano. Nella scuola elementare «Francesco Crispi» di Gorla, popoloso quartiere a nord-est della città, al confine con Sesto San Giovanni, gli insegnanti misero in fila gli allievi e, a partire dalle prime classi, cominciarono a scendere nei locali sotterranei della scuola. E proprio mentre la scolaresca affollava i corridoi, una gigantesca bomba aerea precipitò sulla scuola, deflagrando nella tromba delle scale. L’edificio venne sventrato, i corpi delle giovanissime vittime scagliati a decine di metri o sepolti sotto cumuli di macerie. Una tragedia, una tremenda carneficina che conterà alla fine oltre duecento morti.
Milano era già stata colpita, e gravemente, dalle incursioni aeree degli Alleati, ma nulla poteva essere paragonato a ciò che i soccorritori si trovarono davanti a Gorla. Lo stesso cardinal Schuster, subito avvertito, si portò sul luogo della tragedia. E ne rimase molto turbato: le suore del vicino convento carmelitano, anch’esso colpito, lo videro piangere. «Col cuore oppresso dal dolore», come confidò lo stesso arcivescovo di Milano, benedisse le salme già estratte dalle macerie, si interessò delle condizioni dei feriti e dei superstiti, tracciò segni di croce su quelle mura squarciate, diventate la tomba di così tanti innocenti. «È stata la più triste giornata di questi cinque anni di guerra», scrisse Schuster nel pomeriggio, informando dell’accaduto i «reverendi pastori della città di Milano».
Ancora oggi non è chiaro cosa avvenne con esattezza sopra i cieli di Gorla. Gli aerei americani del 451° gruppo di bombardamento dovevano portare un attacco contro gli stabilimenti Breda a Sesto San Giovanni, obiettivo militarmente significativo. Ma le bombe furono sganciate con troppo anticipo, da oltre settemila metri d’altezza, così che finirono proprio sulle case del quartiere milanese: un’azione che fu deplorata come fallimentare, «per scarsa capacità di giudizio e scadente lavoro di squadra», dallo stesso comando dell’aviazione statunitense.
Al termine della cerimonia funebre in Duomo, l’arcivescovo volle invocare «la benedizione di Dio sulle vittime – come si legge nella cronaca dei quotidiani dell’epoca – e pregando che questo nuovo tributo di dolore valga a propiziarci la clemenza dell’Onnipotente onde si ponga fine a simili stragi». E per la potenza della preghiera, associata forse all’efficacia di qualche canale diplomatico messo in atto da Schuster presso gli Alleati, quello che causò l’eccidio della scuola Crispi fu davvero l’ultimo bombardamento su Milano sino alla fine della guerra. Pace e non odio: lo chiedevano i martiri di Gorla.